Anna ha un figlio di 12 anni, può contare solo sul proprio stipendio e sulla propria forza di volontà. Ogni giorno parte da Torino e percorre oltre 80 chilometri per venire a lavorare in un’azienda metalmeccanica del pinerolese. Lavora su tre turni; la notte, soprattutto, è faticoso, ma ad Anna non pesa. È felice. Ha un contratto a tempo determinato di 6 mesi ma nella fabbrica c’è tanto lavoro e spera che ci possa essere una proroga del suo contratto; l’Azienda dove aveva lavorato per 20 anni è fallita e questa per lei è un’occasione da non perdere.
Luisa invece il lavoro l’ha perso due anni fa. Lavorava in un’azienda tessile ed il tessile nel nostro territorio non esiste più. Troppo giovane per la pensione, troppo vecchia per ricominciare. E allora un po’ di lavoro nero e qualche mese come badante. Nessun programma a lungo termine, nessuna certezza.
Ma c’è anche Manuela che lavora da 18 anni nella stessa azienda, il lavoro che fa le piace; in questi anni ha fatto solo pochi giorni di cassa integrazione e lo stipendio non è mai arrivato nemmeno con un giorno di ritardo.
Sono tanti i volti di donne dentro le aziende, ma anche fuori. Sono occupate nelle fabbriche, nel terziario, nel turismo, nella ristorazione.
Qualche volta, però, sono disoccupate. A fronte di tanti posti di lavoro persi nell’industria sul nostro territorio, c’è chi ha pensato che il terziario ed il turismo avrebbero potuto creare occupazione alternativa. Di qualità.
Ma il terziario che abbiamo visto in questi anni è spesso “povero”, fatto di poche ore di lavoro alla settimana nelle imprese di pulizia, nelle mense; fatto in molti casi di lavoro nero o di “lavoro a chiamata” nella ristorazione.
Chi pensava ad un terziario che potesse creare la stessa ricchezza e lo stesso valore aggiunto che deriva da un posto di lavoro nell’industria si sbagliava. E allora bisogna creare le condizioni perché le imprese abbiano il coraggio di tornare ad investire sul nostro territorio.
La politica, a tutti i livelli, ha una grande responsabilità ma ce l’hanno anche le organizzazioni sindacali, i singoli cittadini, le famiglie, la scuola. Questo significa, intanto, che si devono saper “orientare” le scelte, con consapevolezza, senza chiedere ai giovani di rinunciare ai “sogni”, ma sapendo che il mercato del lavoro offre alcune opportunità ed altre no.
Non deve passare il messaggio «non studiare, tanto non serve», perché, soprattutto in momenti di crisi, chi ha un titolo di studio più elevato ha più opportunità di trovare un’occupazione. Certamente dev’esserci un orientamento a monte, altrimenti davvero si rischia di studiare per anni senza che aumentino le probabilità di occupazione.
Serve poi una vera possibilità di riqualificarsi per chi ha perso il lavoro: non è più tempo di procedere per tentativi ed errori. Ci dev’essere un’offerta di formazione professionale e riqualificazione che sia davvero mirata al mercato del lavoro.
Oggi, purtroppo, accade di vedere che madri cinquantenni impoverite dalla disoccupazione e sfiduciate, crescano figlie ventenni con lo stesso drammatico ma comprensibile, atteggiamento passivo.
Non possiamo permetterci di bruciare un’altra generazione. Dobbiamo guardare a quanto c’è di positivo sul territorio, a quelle che sono le opportunità, e non arrendersi di fronte alle difficoltà.
Davanti ad una Scuola Media di Pinerolo una ragazzina aveva fatto una grande scritta sulla cartellina da disegno: «Non è forte colui che non cade mai, ma chi cadendo si rialza». Deve ricordarselo per tutta la vita.