21 ottobre 2015

 

La Terra Santa a due voci

Una serata così densa di contenuti e suggestioni che sarebbe potuta raddoppiarsi in un secondo incontro. Così il “Mercoledì di Vita” che lo scorso 30 settembre ha visto i qualificati interventi della giornalista vicentina Romina Gobbo e dell’avvocato pinerolese Cristina Bassignana. Un viaggio per immagini, commentate da due testimoni che recentemente hanno visitato Israle e la Palestina.

Romina Gobbo, autrice del libroNessuno strumentalizzi Dio”, ha raccontato i passaggi nodali del viaggio che papa Francesco ha compiuto in Terra santa nel maggio del 2014. Ma non solo nei momenti istituzionali, anche e soprattutto nelle reazioni della gente comune: ebrei, mussulmani e i pochi cristiani che ancora resistono alla tentazione di fuggire in Europa o negli Stati Uniti verso una vita più sicura.

Vogliamo riproporre su Vita, in due “puntate” successive, il denso intervento di Cristina Bassignana.

P.R.

 

Prigioni e prigionieri

Spesso chi si reca in Terra Santa come turista torna con la convinzione di aver trascorso le vacanze in un luogo tranquillo dove regna la pace. Non vi è modo, soprattutto se si aderisce ad un pacchetto turistico, di vivere e comprendere le difficoltà cui vanno quotidianamente incontro palestinesi ed ebrei.

In questa prima parte propongo un “taglio” giuridico che riguarderà le violazioni commesse da Israele e la vita dei palestinesi nelle carceri. La seconda parte, invece, verterà sul diritto degli ebrei a vivere in sicurezza. Preme sottolineare che quanto scritto è un’elaborazione di relazioni delle numerose organizzazioni internazionali, associazioni e centri locali, i cui membri sono sia ebrei che palestinesi, che operano prevalentemente nel campo della tutela dei diritti umani nonché della Corte Penale Internazionale.

Secondo l’articolo 66 della Quarta Convenzione di Ginevra, i tribunali militari dovrebbero occuparsi soltanto di casi che riguardano la violazione della legislazione in materia di sicurezza ma la giurisdizione di quelli israeliani va oltre coinvolgendo aspetti della vita civile palestinese. Fonti internazionali hanno più volte sostenuto che nei tribunali militari israeliani non vengono garantiti ai palestinesi alcuni diritti tassativamente previsti dalla normativa internazionale: il diritto ad essere subito informati dell’accusa di cui si è oggetto; il diritto di preparare una difesa adeguata; il diritto ad un processo senza inutili ritardi; il diritto ad un interprete e alla traduzione degli atti; il diritto alla presunzione di innocenza.

Quasi tutte le prigioni si trovano in territorio israeliano provocando difficoltà agli avvocati difensori nell’incontrare i propri assistiti e ai detenuti nel ricevere le visite dei parenti per il complesso sistema dei permessi che i palestinesi devono ottenere per entrare in Israele e che spesso tardano ad arrivare oppure vengono negati.

Negli ultimi tempi, inoltre, Israele ha adottato due strategie convergenti nei confronti dei prigionieri palestinesi. Nel 2011 è stata introdotta una novità nel Codice militare israeliano volta a garantire la possibilità di arrestare nuovamente i prigionieri palestinesi liberati. L’abrogazione dell’amnistia consiste nell’annullare il provvedimento di liberazione nel caso si accerti la violazione delle condizioni fissate nell’ordine di rilascio. Purtroppo gli accertamenti delle violazioni avvengono in modo arbitrario. L’altra misura consiste nel rilascio individuale con la condizione della deportazione. In sostanza si tratta di un accordo che prevede il rilascio in libertà ma in esilio a Gaza.

 

Un lungo elenco di violazioni

Le principali violazioni delle norme fondamentali del Diritto Internazionale Umanitario che si imputano ad Israele sono le seguenti.

 

Violazione del diritto alla vita, nella striscia di Gaza con attacchi militari contro i civili e i campi profughi; attraverso la degradazione delle condizioni ambientali, della qualità dell’acqua, dell’igiene, dell’alimentazione e delle cure.

 

Violazione del diritto all’uguaglianza e alla non discriminazione, in modo generale con riguardo al diritto alla salute, all’istruzione, alla libertà di movimento, al lavoro, alla proprietà, al libero accesso alle proprie terre, all’uso gratuito delle proprie risorse naturali. Gli atti di discriminazione si esplicano attraverso la chiusura dei confini della striscia di Gaza, il complesso sistema costituito dal muro, dai check point e dalle strade che possono essere percorse solo dai coloni e dai cittadini israeliani non arabi, dal divieto di ritorno dei profughi.

Violazione del diritto alla salute, in quanto attraverso il sistema del muro, dei check point e dei permessi rende difficoltoso se non impossibile l’accesso alle strutture sanitarie.

 

Violazione del diritto alla libertà di movimento, in quanto il muro rappresenta un ostacolo concreto. La libera circolazione nella zona del muro è resa ancor più difficile poiché i palestinesi hanno bisogno di un permesso speciale per accedere legalmente in Israele. Sono obbligati ad attraversare a piedi i check point per recarsi sul posto di lavoro. I tempi per attraversare i sistemi di controllo sono estenuanti con conseguente sfinimento fisico, emotivo e di umiliazione.

Violazione del diritto al lavoro, per la difficoltà/impossibilità di accedere ai propri campi e per il mancato controllo delle risorse idriche.

 

Violazione del diritto ad usufruire delle proprie risorse e ricchezze naturali. Qui merita un accenno specifico la questione dell’acqua in quanto Israele ha il controllo completo dell’accesso dei palestinesi alle risorse idriche del fiume Giordano e della falda idrica sotterranea. Ai palestinesi è ammesso l’accesso a non più del 10% delle riserve di acqua potabile, il resto è fornito ai coloni per uso domestico, agricolo e per le piscine.

Violazione del diritto al ritorno, riguarda allo stato attuale almeno sette milioni di palestinesi nel mondo.

 

Desidero chiudere con una frase di Khaled Horani, artista palestinese, che durante un’intervista alla domanda Qual è il tuo sogno? ha risposto «poter andare liberamente da Ramallah a Gerusalemme, due città che distano solo quindici chilometri l’una dall’altra. Questa è una follia! Ma che razza di sogni sono questi! È una catastrofe che un uomo come me a 45 anni si riduca a sogni così ridicoli come la possibilità di muoversi da una città all’altra nel proprio paese».

 

Cristina Bassignana

 

Il libro è disponibile in redazione (Via vescovado, 1 – Pinerolo)