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Giovani  

Non una volontaria, ma un'amica

Non una volontaria, ma un'amica

C’è chi passa il Capodanno tra feste, brindisi, panettoni e lenticchie; chi lo passa lavorando; chi in preghiera e chi invece decide di dedicare le sue vacanze natalizie a servizio del prossimo. Questa la scelta di alcuni ragazzi che si sono recati ad Amatrice, città fortemente colpita dal terremoto nell’estate 2016. Con loro anche una ragazza di Pinerolo, Debora Faure, che ci racconta la sua esperienza.

Il mio “capodanno” ad Amatrice è molto lontano dal potersi definire un’esperienza di volontariato. Io, come tutti gli altri che hanno partecipato con me, avrei dovuto ricoprire il ruolo di volontaria, mettermi al servizio e fare quel che mi veniva detto di fare. Così non è stato, e mai ho sentito di indossare quell’etichetta.
Da subito con i ragazzi amatriciani si è trattato di condividere e costruire un legame, sfruttare ogni occasione per stare insieme e dare la possibilità a ciascuno di scendere in campo con le proprie personalità e capacità e con le proprie storie. Io per prima mi sono sentita libera di esprimermi e in questa libertà essere accettata, in un clima di forte fiducia reciproca. Mattino, pomeriggio e sera li abbiamo passati insieme al centro della Caritas, o al nostro container a Torrita o facendo passeggiate per Amatrice, tutto all’insegna della spontaneità, della naturalezza e della quotidianità.
In questo ho riscoperto l’essenzialità dei rapporti, l’amore e il rispetto che nascono dal fare insieme cose semplici, dall’essere semplicemente presenti senza congetture strane per sentirsi “all’altezza” e senza timore di giudizi. Anzi, a dire il vero inizialmente ho avuto difficoltà nell’accostarmi ad un dolore che non potrò mai capire, mi sembrava di essere di fronte a dei ragazzi speciali, degli eroi quotidiani a cui il terremoto ha spaccato la vita a metà, che ora devono essere forti anche quando sentono di non avere le forze, e nei confronti dei loro dolori non sapevo bene come comportarmi al meglio per rispettarli. Sono dolori che lasciano punti di domanda, che chiedono un senso che non si riesce a dare, di fronte ai quali sembra solo di poter perdere o di fare silenzio.
Ma questa mia difficoltà è durata poco: ha vinto il semplice fatto di esserci e chiedere “come stai?”; ha vinto il farsi una passeggiata per la città e sentire le storie nascere spontaneamente dalle macerie, sentire «quella era casa mia, quella di mio nonno», «quella sera del 24 agosto io…». Ha vinto farsi una partita a biliardo, briscola, calcetto; hanno vinto i viaggi sul pullmino, le mangiate, gli scherzi, un capodanno divertente… Nulla di tutto questo mi ha mai fatta sentire una volontaria che aiutava i terremotati, ma un’amica che sta con i suoi amici. Questa è stata la rivoluzione dell’esperienza, il motivo che mi farà tornare ancora tante volte ad Amatrice, questo è quello che ci ha fatto riscoprire la bellezza dei rapporti veri.
Ho imparato tanto dai miei amici amatriciani, mi hanno insegnato a persistere nell’amore anche quando tutto intorno crolla, a non abbandonare nessuno, a vivere profondamente un dolore anche se non ha un senso, a non smettere di farmi delle domande e chiedere giustizia, mi hanno insegnato che dopo la distruzione c’è la ricostruzione e ci vuole volontà, ci vuole la mia partecipazione, perché io vivo e sono importante, mi hanno insegnato che l’amore nato dalle macerie sprigiona un’energia preziosa che trasforma l’ordinario in straordinario, e che quest’amore ha bisogno di ascolto, attenzione e cura.
L’ultimo giorno ci siamo trovati tutti insieme per condividere pensieri sull’esperienza fatta e mi sono commossa nel sentire che non solo io avevo imparato e ricevuto da loro, ma che la relazione è sempre stata fortemente reciproca, che quest’esperienza ha risanato delle ferite in ciascuno di noi grazie ai rapporti costruiti così forti e in così poco tempo.
Sono tornata a casa immensamente grata per aver conosciuto questi ragazzi, che per me sono un esempio, sono dei guerrieri, degli eroi quotidiani.

Debora Faure

 

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