5 Ottobre 2020
Torino. L'arcivescovo Nosiglia sull'alluvione: speranza di ripresa dal fare memoria e dalla preghiera

Le notizie e le immagini provenienti dalle località sconvolte dalle devastanti piogge dei giorni scorsi hanno lasciato la maggioranza delle persone impietrite. E incapaci di farsene una ragione. L’arcivescovo di Torino, Cesare Nosiglia, ha proposto qualche riflessione per “dare un senso” alla tragedia, senza però trascurare le responsabilità politiche del disastro.
«Ancora una volta le nostre terre e le nostre montagne sono state duramente provate dal disastro provocato da piogge troppo abbondanti e improvvise. Sappiamo bene, ormai, che non si può più parlare di “fatalità”: il cambiamento climatico ci insegna lungo l’intero anno le conseguenze di scelte imprevidenti e sbagliate nella tutela del territorio. Dobbiamo registrare anzitutto la tragedia di vite perdute a causa dell’alluvione che ha colpito diverse diocesi della nostra regione, dalle Alpi alla pianura. Prima e più dei danni materiali questi lutti ci colpiscono direttamente: è la vita il vero primo valore!
Per le comunità cristiane e per tutti i cittadini “il fare memoria” e la preghiera sono il modo più importante ed essenziale per ridare la speranza e la forza di una ripresa che ci auguriamo sia sostenuta anche dallo Stato, dalle istituzioni e dalle componenti della società economica e civile del nostro territorio. Il Signore è vicino a quanti hanno avuto lutti o distruzioni delle proprie case o luoghi di lavoro e ci impegna tutti a contribuire e aiutare questi nostri fratelli e sorelle.

Ma proprio “fare memoria” significa non dimenticare che queste tragedie non nascono solo dal destino o dal caso ma hanno la loro radice in scelte che non sono di ieri. C’è una spirale perversa: i Comuni e gli enti territoriali non hanno risorse (economiche, progettuali) per tutelare il territorio, lo Stato è lontano, i progetti europei rimangono una chimera… E intanto assistiamo, in Piemonte come un po’ ovunque in Italia, a un consumo scriteriato del territorio, a iniziative imprenditoriali più speculative che innovative, a un degrado che diventa abitudine, nelle città e soprattutto nelle campagne e nelle terre alte, sovente lasciate all’abbandono perché non abbastanza redditizie.
Al di là degli interessi individuali l’ennesimo dramma dell’alluvione – come nel 1994, come nel 2000 – ci richiama tutti al dovere della politica, intesa come impegno diretto delle persone e delle comunità. Quella politica che è ricerca del bene comune e non solo – come non si stanca di ripeterci papa Francesco – strumento degli interessi di individui e di caste».
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