«È estremamente pericoloso sganciare il concetto di accanimento terapeutico dai tre criteri di futilità, sproporzionalità e inappropriatezza» per «legarlo a un momento temporale, come prevede l’emendamento approvato. Obbligare il medico ad astenersi dalla somministrazione delle cure è pericolosissimo perché significa aprire all’abbandono terapeutico». Lo dice Alberto Gambino, presidente di Scienza & Vita, commentando l’emendamento approvato lo scorso 19 aprile dall’Aula di Montecitorio dove è all’esame la proposta di legge sul testamento biologico. Attraverso un emendamento che sopprime il comma 6 dell’articolo 1 del provvedimento, è stato approvato il diritto del paziente di abbandonare le terapie e, novità rilevante, è stato introdotto il principio del divieto dell’accanimento terapeutico. «Nel caso di paziente con prognosi infausta a breve termine o di imminenza di morte – recita l’emendamento -, il medico deve astenersi da ogni ostinazione irragionevole nella somministrazione delle cure e dal ricorso a trattamenti inutili e sproporzionati». Per Gambino, desta preoccupazione ed è «un elemento di criticità» l’inserimento nel nuovo emendamento «del dovere del medico di astenersi dalla somministrazione di terapie ogni qualvolta ci si trovi di fronte ad un paziente “con prognosi infausta a breve termine o di imminenza di morte”, espressione che lascia molti margini di soggettività». «Tutti – spiega – rifiutiamo l’accanimento terapeutico, che si definisce tale in presenza di cure futili, sproporzionate, inadeguate, ma a questi tre criteri che lo definiscono occorre continuare a fare riferimento. Legare invece il concetto di accanimento terapeutico ad un momento temporale, come prevede l’emendamento, è estremamente pericoloso perché ci sono situazioni che possono apparire di “imminenza di morte” e che invece si prolungano per anni, o si definisce “situazione di fine vita” una condizione che finisce per non essere tale. Obbligare il medico ad astenersi è pericolosissimo perché significa aprire all’abbandono terapeutico». Di qui il richiamo alla recente sentenza del Consiglio di Stato francese che ha dato ragione ai genitori di una bimba di 15 mesi che chiedevano per la figlia il mantenimento della respirazione e della nutrizione artificiale contro il parere dei medici che volevano viceversa sospendere i trattamenti. Per i medici si trattava di “accanimento terapeutico”; non così per i giudici che hanno chiesto il mantenimento del presidio sanitario. Questo episodio, conclude Gambino, «dimostra quanto il passaggio approvato oggi sia delicato e da non sottovalutare».
Roberto Dante Cogliandro, presidente dell’Associazione italiana notai cattolici (Ainc), ha osservato: «Serve al Senato una riflessione maggiore per migliorare il testo sul cosiddetto “fine vita”, ove possa essere contemperato il sacrosanto diritto alla vita tutelato dalla nostra carta costituzionale». Pur ravvisando «l’urgenza di una normativa su una materia così importante», Cogliandro ha sottolineato che «non si può decidere in fretta solo perché fino a oggi non si è legiferato in una materia di grande delicatezza che tocca la sensibilità dei cittadini». «Siamo al contempo convinti – ha precisato – della necessità di ascolto delle varie istanze proprio per definire una legge che vada incontro alle persone».
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