3 Settembre 2016
Se uno viene a me...
Commento alle letture della XXIII Domenica del Tempo Ordinario a cura di Carmela Pietrarossa.
“Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre…e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo” (Lc 14, 25-33).
Leggendo il brano che la liturgia del giorno ci propone, ci verrebbe da obiettare, riprendendo il vangelo di S. Giovanni: “Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?” (Gv 6, 60).
Seguire il Signore è decisamente un’avventura impegnativa; diremmo, prendendo in prestito un’espressione di Papa Francesco indirizzata ai seminaristi, novizi e novizie, che “non si è sempre in luna di miele” con lui, sebbene egli non ci faccia mancare le consolazioni necessarie al momento opportuno; spesso, tuttavia, la strada è irta, dissestata e anche poco illuminata. Viene provata la qualità del nostro amore, della nostra sequela, della nostra adesione totale a Lui, in una parola, della nostra fede.
Oggi Gesù ci chiede di anteporlo a padre, madre, moglie, figli, fratelli, sorelle e persino alla propria vita per poterci dire veramente suoi. Dio è geloso di noi e del nostro amore, vuole il primato nelle nostre esistenze e non si arrende finché non lo abbia raggiunto. Non si lascia battere in amore; esige che tutti gli anfratti del nostro cuore gli appartengano. Questo non vuol dire che non ci chieda di amare i familiari e gli amici, tutt’altro! Essi però devono essere amati in Lui e perché amiamo Lui.
E noi? Di fronte alle esigenze del Vangelo ammettiamo di essere carenti e deficitari, attaccati irrimediabilmente alla terra che ci impedisce di spiccare il volo. Nei parenti, negli amici e nei beni, che hanno in sè una valenza straordinariamente positiva, cerchiamo sempre di trovare la nostra sicurezza o il nostro rifugio, legandoli a noi e non a Dio. Egli, invece, vuole vivere in loro, come in noi ed ha bisogno di cuori liberi per albergarvi. Essere eccessivamente legati a cose o persone danneggia anche queste ultime, perché le imprigiona in vincoli che incatenano e nel tempo intristiscono, mentre il cuore di ogni uomo ha sete d’amore, che solo Dio è in grado di appagare in pienezza.
“Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo” (Lc 14,27), ci dice ancora il Vangelo di questa domenica; ma cosa significa andare dietro a Gesù? Significa essere sempre in cammino avendo per guida e maestro Lui, vivere il Vangelo anche quando non ci è affatto favorevole, mai fermarsi, mai adagiarsi, ma pur constatando le cadute, rialzarsi e ricominciare a camminare: il cristiano è un uomo sempre in cammino. Il Vangelo ci presenta il Maestro sempre in attività, le uniche sue soste erano quelle rappresentate dalla preghiera, incontro con il Padre, per il resto tutto diventava occasione per incontrare l’uomo e risollevarlo dalla sua infermità spirituale e corporale. Com’è scandito invece il nostro tempo?
Gesù prosegue dicendo: “Chiunque non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo” (Lc 14,33), in questi averi rientrano affetti, riconoscimenti, gratificazioni, stima degli uomini, tutto ciò che ai nostri occhi è un bene da possedere, bene materiale e personale, dal momento che siamo portati anche a possedere le persone. Ma a cosa servirebbe guadagnarsi il favore degli uomini se perdessimo quello di Dio? Questo stesso favore ingabbierebbe il nostro cuore, privandoci di quella libertà interiore che il Signore vuole ci appartenga e che lo porta a pronunciare i paradossi evangelici di questa domenica, che suonano come provocazioni e al contempo, come forte invito a camminare lasciandoci alle spalle tutto ciò che appesantisce il nostro andare e che serve ad affermare unicamente il nostro amor proprio.
“Ci hai fatti per te ed il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te”, diceva Agostino. Commentando questa celebre espressione, Papa Francesco evidenziava che, questa inquietudine è, innanzitutto, propria di chi, come Agostino, “non si chiude in se stesso, non si adagia, continua a cercare la verità… E in questo modo scopre che Dio lo aspettava, anzi, che non aveva mai smesso di cercarlo per primo”; la sua, continua il Papa, è l’inquietudine dell’amore: “E Agostino si lascia inquietare da Dio, non si stanca di annunciarlo, di evangelizzare con coraggio, senza timore.. Ecco, allora, l’inquietudine dell’amore: cercare sempre, senza sosta, il bene dell’altro, della persona amata, con quella intensità che porta anche alle lacrime” (Papa Francesco, 28 agosto 2013).
Il bene può passare anche attraverso le nostre rinunce.
Buona domenica in Gesù Maestro, Via, Verità e Vita!
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