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Fatti e opinioni  

Parlare di chiudere Rai Storia è un sintomo della considerazione della cultura in Tv

Parlare di chiudere Rai Storia è un sintomo della considerazione della cultura in Tv

Da alcuni anni, in Italia, è emersa più volte la volontà del consiglio di amministrazione della Rai di chiudere il canale di approfondimento storico, Rai Storia. Il desiderio dei vertici di “Viale Mazzini” è riemerso alcune settimane fa, grazie alla denuncia, sporta su Radio Radicale, dal deputato di Italia Viva e segretario della commissione parlamentare di vigilanza dei servizi radiotelevisivi, Michele Arnaldi: «Al momento non c’è un atto di soppressione del canale, perché altrimenti saremmo già in tribunale. Però è stato portato in consiglio d’amministrazione uno studio, che otterrebbe un’ottimizzazione dei costi di lavoro se Rai Storia fosse accorpata a Rai 5, che si occupa di teatro e cinema. Fra la Rai e lo Stato esiste un contratto. Gli italiani consegnano, all’anno alla Rai, circa 2 miliardi di euro, che arrivano attraverso il canone in bolletta. Questo contratto va rispettato».

Tale volontà è stata smentita dall’amministratore delegato della televisione pubblica Fabrizio Salini, in un comunicato del 30 novembre, il quale ha ribadito che l’ipotesi è riconducibile a simulazioni e scenari volti ad affrontare la situazione economica. Quello che ha fatto intendere Salini è che la Rai si trovi in una situazione finanziaria difficile anche legata alla situazione del Covid19 per cui da tempo è stata istituita una task force sugli impatti economico-finanziari dell’azienda. (Se la televisione pubblica si trova in crisi, che dire allora delle milioni di imprese, artigiani e dei nuovi poveri italiani in difficoltà vera a causa della pandemia?)

Anche, se dalla Rai è giunta la smentita della chiusura, risulta preoccupante la sola ipotesi di tagliare sulla divulgazione culturale per dare spazio a programmi d’intrattenimento meno seri, ma più redditizi economicamente. Oggi, purtroppo storia e scienze umane contano sempre meno e spesso gli studiosi di questi ambiti sono messi ai margini della società o vengono chiamati in tv per parlare di tematiche enormi in interventi di pochi minuti. La storia, in modo particolare, nella nostra società emerge solo nelle giornate della memoria (sulla Shoah, sulle vittime della mafia, sulla liberazione…) oppure viene relegata ai libri di storia, dove alcuni fatti, come la questione degli esuli Dalmati e Istriani connessa alle Foibe, vengono concentrati in trafiletti di poche righe. Spesso la storia viene chiamata in causa sotto elezioni, per ragioni di contesa tra le parti politiche in gioco. Invece antropologia e sociologia sono completamente dimenticate dalla società e confinate in musei e atenei. Tutto ciò non dovrebbe succedere perché la società dovrebbe indirizzarsi, come spiega il teologo tedesco Hans Küng, verso il rafforzamento dell’“ethos globale”, cioè l’insieme delle risorse filosofico-religiose e dei valori comuni all’intera umanità, i quali non dovrebbero essere imposti, ma dei quali bisogna rendere coscienti gli individui. A tutto ciò servirebbero le scienze umane e a questo scopo dovrebbe mirare la televisione pubblica italiana, finanziata da tutti i cittadini, anche coloro che non amano il trash. Purtroppo, però la cultura sembra servire sempre meno oppure, viene il sospetto, la si vuole rendere sempre meno indispensabile.

Lorenzo Battiglia

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