«Si credono i padroni dell’umanità e purtroppo lo stanno diventando: la politica democratica ha cessato di resistere loro, spianando la strada alla dittatura incondizionata dei poteri forti, economici e finanziari, che ormai dettano le condizioni della nostra vita pubblica». Con queste parole estreme del filosofo Noam Chomsky si potrebbe iniziare e concludere una analisi sulla legge 243 del 2012 che il Parlamento sta modificando in questi giorni. Di cosa si tratta? Della legge che dà applicazione alla riforma dell’art. 81 della Costituzione sul pareggio di bilancio (Legge costituzionale 1/2012). Una norma voluta per introdurre più rigore nei conti italiani, di fatto imposta dai burocrati di Bruxelles: per inciso, vuol dire che l’Europa è cattiva? No l’Europa è uno straordinario sogno che si può realizzare tornando all’idea originale di De Gasperi, Adenauer e Shumann. Per intanto però siamo di fronte al segno del cedimento di una classe politica debole di fronte ai “padroni dell’umanità” che, attraverso le ricette neoliberiste, stanno distruggendo l’Europa approfittando della crisi economica che proprio esse hanno determinato e gonfiato. Nel confronto tra democrazia e potere finanziario la prima rischia di uscirne perdente!
Il Parlamento sta discutendo ed approvando la norma contenente le modifiche alla normativa sul pareggio di bilancio che riguarda gli enti territoriali: la relatrice del disegno di legge al Senato, la senatrice Magda Zanoni, esulta per le semplificazioni in esso contenute. È certamente cosa buona superare l’astruso Patto di Stabilità che per anni ha strangolato gli enti locali e rendere più agevole la formazione dei bilanci e conseguentemente la programmazione della spesa e degli investimenti. Ma andando oltre i tecnicismi ciò che non convince è ben altro, ossia la filosofia di fondo che non viene assolutamente toccata. Appare interessante analizzare questa filosofia in un quadro più generale e alla luce di un sempre decantato riformismo: il rischio, infatti, è che «l’operazione vada bene ma il paziente muoia!» Qual è questa filosofia? Per usare le parole del professor Gian Candido De Martin, ordinario di Diritto Amministrativo, che ha analizzato la prospettiva di riordino dell’autonomia finanziaria regionale e locale, essa è il «necocentralismo della legislazione della crisi» che, a Costituzione al momento invariata, tende a comprimere lo spazio autonomistico degli enti locali, in teoria ancora protetti da formale garanzia costituzionale. Semplificando: comuni e regioni vengono ridotti a poco più (o poco meno?) di esecutori delle decisioni romane, imbrigliati completamente. Ma non sono le nostre comunità (i comuni preesistono allo Stato), la loro capacità di azione e reazione creativa ai bisogni della cittadinanza, la loro valenza di presidio del territorio, la vera ricchezza dell’Italia? Non sono gli enti locali le ultime vere palestre di democrazia dal basso? Questo fa il paio con l’impianto centralistico della riforma costituzionale su cui gli italiani saranno chiamati ad esprimersi prossimamente: essa, andando ben oltre i principi da custodire e gli istituti da riformare, accoglie in sé il centralismo della legge 1/2012 e lo porta a sistema con un potere centrale talmente rafforzato da poter sempre comprimere l’autonomia degli enti locali che diventano, per lo più, meri attuatori ed integratori delle scelte centrali, determinando una situazione confusa e potenzialmente conflittuale. Accanto a ciò non va dimenticata la riforma Del Rio delle Province che ha cancellato la possibilità che i cittadini possano votare, scegliendo per legge il presidente di tutti che però non tutti scelgono: le modifiche alla normativa sugli enti locali lasciano al momento senza risposta molti problemi profondamente legati ai lavoratori, che incidono nella vita delle comunità, come il taglio al salario accessorio, lo sblocco del turn-over, l’equilibrio finanziario delle ex province e le prospettive per il precariato degli enti di area vasta. La preoccupazione dovrebbe essere il lavoratore e il territorio dove viviamo o la conservazione di una filosofia che li mette in disparte?
Esultiamo perché si rafforza un impianto centralistico dello Stato? E le libertà civiche, su cui si radica l’autonomia degli enti locali, che fine fanno così silenziosamente erose?
A questo punto sorge spontaneo domandarsi quale riformismo abbia partorito tutto ciò: se sulle modiche alla legge 243 possiamo parlare di cura palliativa, sulla filosofia di fondo potremmo riprendere la visione forte di Chomsky, a proposito di una struttura europea che decide senza contatto con gli europei, non risponde all’organo parlamentare rappresentativo dei popoli (interessante, in parallelo, l’evoluzione delle leggi elettorali italiane che tendono a nominare e non più eleggere). Di fronte ad un “autoritarismo neo-feudale”, che rappresenta la visione neoliberista, si potrebbe probabilmente parlare di “riformismo cortigiano”.

GIANCARLO CHIAPELLO

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