27 Marzo 2020
L'informazione ai tempi del coronavirus, tra criticità e sfide. Intervista a Mimmo Delle Foglie
Con Mimmo Delle Foglie cerchiamo di capire se davvero “nulla sarà più come prima”, anche per i credenti
“La comunicazione dovrà occuparsi, dopo lo tsunami Covid-19, di una persona nuova. Chi fa infomazione, a tutti i livelli, deve avere coraggio e desiderio di comprendere dell’esploratore”. È un compito maiuscolo quello che vede consegnato ai giornalisti, e in genere a chi narra (nel)lo spazio pubblico, Mimmo Delle Foglie. Già vicedirettore di “Avvenire” e direttore della Sir (l’agenzia stampa della Cei). Dopo aver guidato la comunicazione del Comitato Scienza & Vita nel referendum sulla procreazione assistita, nella primavera 2007 ha svolto le funzioni di coordinatore generale del Family Day. Tra le figure più rilevanti della stagione ruiniana, ha presieduto anche Copercom (Coordinamento delle associazioni per la comunicazione) ed attualmente siede nel Cda della Fondazione Italiana Europa Popolare. Editorialista di Formiche, è un attento analista dei processi della comunicazione. Con lui cerchiamo di capire quali criticità e quale sfide ci troviamo di fronte, con particolare riferimento al mondo cattolico (ma non solo).
Ormai tutti gli osservatori ci dicono che “nulla sarà più come prima”, questo sembra abbastanza vero se si considera la comunicazione (quella istituzionale compresa). A cambiare, anche per la sua natura di perennemente connessa, è innanzitutto la persona (ciascuno di noi) a cui la comunicazione è rivolta. Quali rischi e quali opportunità in questa situazione? E dopo?
Solo venti giorni fa, l’esperienza che stiamo vivendo era qualcosa di inimmaginabile. Dunque, è come se l’irruzione di un virus sconosciuto nella nostra vita, abbia riconfigurato non solo tutte le nostre abitudini e aspettative, ma ci spinga verso una riconsiderazione della nostra identità che diventa sempre più digitale. In quel “nulla sarà come prima” c’è questa nuova consapevolezza: l’umanità intera si trova dinanzi all’ignoto e reagisce con l’iperconnessione digitale. Ma per affrontare l’ignoto, come gli antichi esploratori, ci vuole coraggio, desiderio insopprimibile di conoscenza, resilienza assoluta. È di questa persona nuova che nascerà dallo tsunami del coronavirus che la comunicazione dovrà occuparsi. Paradossalmente come monaci medievali ci tocca trascrivere le cronache di questo tempo nuovo e di quest’uomo nuovo. Nel tentativo di raccontare la nostra trasformazione a noi stessi. Perché siamo già tutti diversi da ieri. Insomma c’è tanto lavoro da fare, anche per noi comunicatori…
Il tema della verità e della verificabilità dei contenuti diffusi, che era di centrale importanza anche prima, oggi emerge in tutta la sua consistente intensità. Questo consegna agli operatori dell’informazione, anche locale, il compito di preservare l’autorevolezza. In un momento di oggettiva crisi dell’editoria e del giornalismo, come si può interpretarlo? Con quali strumenti?
La crisi dell’editoria e del giornalismo nasce da quattro fattori convergenti: l’omologazione causata dalla ristrettezza delle fonti; l’esternalizzazione della produzione e ricerca delle fonti; la spettacolarizzazione che ha puntato tutto sulla drammatizzazione polarizzante che ha diviso il mondo con l’accetta fra buoni e cattivi, onesti e disonesti; la disintermediazione cavalcata dalla politica e dall’economia nei confronti dell’informazione attraverso i nuovi media e i social. Una tempesta perfetta che ha trovato un solido nucleo di resistenza nell’informazione locale e dei territori. Un autentico presidio di democrazia e di umanesimo che in questi giorni difficili, per paradosso, mostra tutta la sua forza attraverso i propri media digitali. So di settimanali diocesani che hanno decuplicato i loro contatti nella Rete. Una rivincita significativa e un traguardo da consolidare. Soprattutto per il futuro, così da mettere in linea carta stampata e informazione digitale. Valorizzando le sinergie e creando nuova utenza. E ci auguriamo, anche nuovi profitti.
Tu hai seguito, con ruoli di grande responsabilità, la comunicazione della Chiesa italiana: in questo frangente abbiamo visto, esito di un lavoro che non è solo di oggi, uno sforzo di creatività sul web, più dei pastori che dei laici, per non far mancare una voce e una presenza cattolica. Quanto rimarrà di questo impegno nei tempi ordinari che speriamo tornino presto?
Bisognerà preservare il meglio di quanto oggi si sta sperimentando in Rete. Mi ha molto colpito, in queste ore, l’incitamento del Papa a ricorrere, come prevede il Catechismo della Chiesa cattolica nelle situazione di emergenza, alla confessione personale e diretta fra il peccatore e il nostro Signore, in un dialogo di retta coscienza. Ecco, questa forma di creatività è un segnale importante anche sotto il profilo sacramentale. C’è un futuro della vita spirituale e del nostro essere Chiesa che dovrà e potrà servirsi sempre più della dimensione digitale. Che sarà vita di Chiesa a tutti gli effetti. Purché sia salvaguardata la componente relazionale e comunitaria. Proprio quella che stiamo sperimentando in questi giorni, attraverso la Rete, anche per la Santa Messa, il Rosario e le catechesi. Ma bisognerà fare tanto di più perché l’interazione fra le persone sia sempre più spontanea, sincera, dialogica, sensoriale, razionale e anche emotiva. Ma soprattutto spirituale.
Il web è un ambiente più che un media (cosa che non è ancora stata del tutto compresa). Come abitarlo con proposte forti dal punto di vista valoriale? E come renderlo, in modo non effimero o strumentale, uno strumento di partecipazione?
Occorre che noi credenti accettiamo la sfida della relazione nella Rete. Noi tutti oggi l’abitiamo come uno spazio di autoaffermazione, di sola narrazione. Dobbiamo sempre più riuscire a caratterizzarlo come spazio relazionale e del noi. Cioè come una vera agorà, nella quale esercitare il nostro discernimento, seminare le nostre parole, costruire forme di carità intellettuale, accettare nuove modalità di convivenza. E soprattutto non tradire la Parola che ci convoca. In sintesi, costruire quel nuovo umanesimo che la nostra fede reclama, affrontando a viso aperto le domande più dolorose ed esigenti del nostro tempo. In un sano e costruttivo conflitto di valori a cui dobbiamo chiamare tutte le componenti culturali del Paese. Anche sfruttando al meglio la provocazione della democrazia partecipativa a trazione digitale. Non è lo strumento che ci deve preoccupare, quanto la nostra capacità di garantire rappresentanza alla nostra vita intessuta di relazione e animata dai valori. Ed è necessario che noi lo si faccia presto. Per non perdere l’occasione storica di una crisi epocale per rammendare il tessuto sociale. Se non ne usciamo migliori, allora davvero saremo stati sconfitti.
Marco Margrita
Dir. Il Nuovo Monviso
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