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Fatti e opinioni  

La Crisi dei missili a Cuba e il ruolo di Papa Giovanni

La Crisi dei missili a Cuba e il ruolo di Papa Giovanni

Pier Giuseppe Accornero ripercorre i drammatici giorni della crisi dei missili a Cuba a sessant’anni dagli eventi, ricordando il fondamentale ruolo di mediazione svolto da Giovanni XXIII e dalla diplomazia vaticana.

 

 

«Supplichiamo i governanti a non restare sordi al grido dell’umanità». Sessant’anni fa il desiderio roncalliano di «riassumere le voci del mondo» fu messo a dura prova pochi giorni dopo l’apertura del Concilio Vaticano II, quando il mondo minacciò di sprofondare nella guerra nucleare.

 

La Guerra Fredda

Sono anni di paura nella stagione della «guerra fredda». Nella notte del 13 agosto 1961 le truppe sovietiche costruiscono il Muro di Berlino che spacca la città in due. Sempre nel 1961 il segretario del Partito comunista sovietico Nikita Chruščёv annuncia la ripresa degli esperimenti nucleari e il presidente degli Stati Uniti John Fitzgerald Kennedy replica con analoga decisione: test atomici nel sottosuolo e in laboratorio. Nell’ottobre 1962 la crisi dei missili sovietici a Cuba porta l’umanità sul baratro. Il braccio di ferro inizia il 14 ottobre 1962: un aereo spia americano fotografa installazioni missilistiche in costruzione sull’isola di Cuba, a meno di 150 chilometri dalle coste della Florida. Tre anni prima era stato rovesciato il regime del generale Fulgencio Batista e aveva preso il Fidel Castro. L’embargo imposto dagli Usa dopo la decisione del governo cubano di nazionalizzare le società estere e il fallito sbarco nella «Baia dei porci» sono le premesse di un nuovo assetto geopolitico mondiale.

 

I missili a Cuba

Nel luglio 1962 Nikita Chruščёv e Fidel Castro raggiungono un accordo segreto per l’installazione di missili sovietici nel Paese caraibico. Sessant’anni fa l’aereo spia statunitense U-2, pilotato dal maggiore Richard S. Heyser, fotografa da grande altezza i lavori per realizzare basi da cui lanciare razzi nucleari contro gli Stati Uniti.

 

Le reazioni negli USA

Il 16 ottobre la Cia segnala a Kennedy l’installazione di testate sovietiche. Il presidente raduna il Consiglio per la Sicurezza nazionale, composto da politici e militari, per decidere risposte appropriate. Il Pentagono preme per il bombardamento delle basi seguito da uno sbarco sull’isola per rovesciare il regime castrista. Ma il presidente opta per una misura meno drastica. Il 22 ottobre Kennedy in un discorso denuncia la dislocazione di missili, aerei e basi nell’isola e ordina il blocco aeronavale di Cuba. L’Us Navy pattuglia le acque per perquisire le navi russe e costringerle a invertire la rotta se trasportano materiale bellico.

 

Le due lettere di Chruščёv

Il 25 l’ambasciatore americano all’Onu Adlai Stevenson, in una drammatica riunione del Consiglio di sicurezza, inchioda l’ambasciatore sovietico Valerian Zorin: «Lei nega che l’Urss abbia collocato e stia collocando missili a Cuba? Sì o no? Non aspetti la traduzione. Lei nega l’esistenza di queste rampe? Sono pronto ad aspettare la sua risposta finché l’inferno si sarà congelato e sono pronto a presentare le prove». Compaiono le foto riprese dai satelliti americani delle rampe missilistiche e delle navi in rotta verso l’isola: sui ponti i missili sono nascosti da teloni. Chruščёv invia a Kennedy due lettere. Nella prima si dice pronto al ritiro delle testate se gli Usa si impegnano a garantire l’integrità territoriale dell’isola. Nella seconda subordina la rimozione delle basi ad analoga decisione americana: chiudere le basi Nato in Turchia. Robert Kennedy, fratello del presidente e ministro della Giustizia, propone una via d’uscita: ignorare la seconda missiva e rispondere alla prima. Bob si reca dall’ambasciatore sovietico per un chiarimento e prende contatto con la Santa Sede attraverso Norman Cousins, un cattolico, direttore del «Saturday Review».

 

La mediazione di Giovanni XXIII

Il mondo è col fiato sospeso. Grazie a un fitto lavorìo Papa Giovanni riceve assicurazioni da Washington e da Mosca che un suo intervento non è sgradito. Mons. Loris Francesco Capovilla, testimone di quegli eventi, parla di «mediazione papale sui generis». Nella notte tra il 23 e il 24, con il sostituto della Segreteria di Stato mons. Angelo Dell’acqua, il Papa stende un messaggio ai Grandi. Ogni tanto si alza e va in cappella a pregare. È un appello stupendo e accorato: «La mano sulla coscienza, coloro che portano la responsabilità del potere ascoltino il grido di angoscia che, da tutti i punti della Terra, dai fanciulli innocenti ai vecchi, dalle persone alle comunità, sale verso il cielo: pace! pace! Rinnoviamo questo solenne invito. Noi supplichiamo tutti i governanti di non restare sordi a questo grido dell’umanità. Facciano tutto quello che è in loro potere per salvare la pace. Eviteranno così al mondo gli orrori di una guerra di cui non è possibile prevedere le terribili conseguenze». Il 24 in un discorso ai pellegrini portoghesi elogia gli uomini di Stato che cercano di evitare la guerra.

 

La via del cuori

Il messaggio è consegnato alle ambasciate sovietica e statunitense presso la Repubblica italiana: allora il Vaticano non aveva rapporti diplomatici con Usa e Urss. Il 25 è divulgato dalla «Radio Vaticana». Il 26 la «Pravda», organo del Partito comunista sovietico, dedica un articolo al Papa attribuendogli il merito di aver salvato la pace con un titolo che ne riporta le parole: «Noi supplichiamo tutti i governanti a non restare sordi al grido dell’umanità». È il segnale che Chruščёv approva. È il disgelo: la strada delle trattative è aperta. Il Papa dà la notizia all’Angelus del 28 ottobre: «La parola del Vangelo non è muta: essa risuona da un capo all’altro del mondo e trova la via del cuori». Il 27 Washington invia a Mosca un messaggio di disponibilità, al quale il capo sovietico risponde con una lettera a Kennedy. L’umanità tira un respiro di sollievo. L’olocausto nucleare è scongiurato, anche grazie al senso di responsabilità di un ufficiale sovietico che, a bordo di un sommergibile che scorta le navi con la stella rossa, impedisce il lancio di un missile atomico contro le navi americane. La crisi si risolve con un compromesso grazie a faticosi negoziati che durano tutto novembre: la Casa Bianca assicura l’indipendenza di Cuba; il Cremlino ordina alle navi di invertire la rotta.

 

Il Telefono Rosso

Arthur Schlesinger jr. scrive ne «I mille giorni di John F. Kennedy: «Domenica 28 ottobre alle 9 cominciò ad arrivare la risposta di Krusciov. Si impegnava a interrompere i lavori alle basi, a rispedire in Unione Sovietica le armi “da voi definite offensive” e ad avviare i negoziati all’Onu. Quanto al futuro diceva: “È nostro desiderio continuare lo scambio di vedute sulla proibizione delle armi atomiche, il disarmo e altri problemi riguardanti la distensione internazionale”». La crisi di Cuba è il punto di svolta tra guerra fredda e distensione. Dalla primavera 1963 Cremlino e Casa Bianca sono collegati dal «telefono rosso» e in 5 agosto Usa, Urss e Gran Bretagna firmano a Mosca il «Trattato per la messa al bando parziale degli esperimenti nucleari nell’atmosfera, nello spazio cosmico e negli spazi subacquei».

Pier Giuseppe Accornero

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