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Fatti e opinioni  

#coronavirus - Ancora stop alle celebrazioni

#coronavirus - Ancora stop alle celebrazioni

«I vescovi italiani non possono accettare di vedere compromesso l’esercizio della libertà di culto. Dovrebbe essere chiaro a tutti che l’impegno al servizio dei poveri, nasce da una fede che deve potersi nutrire alle sue sorgenti, in particolare la vita sacramentale». Si conclude così il comunicato – severo già dal titolo «Il disaccordo dei vescovi» – emesso subito dopo la conferenza stampa in cui Giuseppe Conte illustra il nuovo decreto del presidente del Consiglio dei ministri sulla «fase due» dal 4 maggio 2020.

Sofferenza e senso di responsabilità – Le parole di Luciana Lamorgese, ministro dell’Interno, nell’intervista ad «Avvenire» il 23 aprile: «Sono allo studio nuove misure per consentire il più ampio esercizio della libertà di culto» – spiega il comunicato – «arrivavano dopo un’interlocuzione continua e disponibile» tra segreteria della Cei, ministero dell’Interno e presidenza del Consiglio, «nella quale la Chiesa ha accettato, con sofferenza e senso di responsabilità, le limitazioni per far fronte all’emergenza sanitaria». La Cei più volte sottolinea «in maniera esplicita che – quando vengano ridotte le limitazioni – la Chiesa esige di poter riprendere la sua azione pastorale». Per tempo il sottosegretario Cei, don Ivan Maffeis, chiede di autorizzare funerali, battesimi e matrimoni: «Torniamo nelle chiese: tanti ne hanno bisogno».

Distinguere le responsabilità – Posizione ribadita il 16 aprile dal Consiglio permanente, il «parlamentino» Cei, riunito in videoconferenza. Il comunicato chiarisce: «Dopo queste settimane di negoziato che hanno visto la Cei presentare orientamenti e protocolli con cui affrontare la fase transitoria nel pieno rispetto di tutte le norme sanitarie, il decreto esclude arbitrariamente la possibilità di celebrare Messa con il popolo». Alla presidenza del Consiglio e al Comitato tecnico-scientifico «si richiama il dovere di distinguere tra la loro responsabilità – dare indicazioni sanitarie – e quella della Chiesa, chiamata a organizzare la vita della comunità cristiana, nel rispetto delle misure, ma nella pienezza della propria autonomia», garantita dai Patti Lateranensi dell’11 febbraio 1929, revisionati il 18 febbraio 1984.

Posizione dura nel contenuto e nella forma – Un intervento risoluto quale non si ricorda nei 56 anni di esistenza della Cei. E gli interventi su divorzio, aborto, famiglie di fatto, eutanasia non sono altrettanto severi? Certamente, ma lo sono sulla sostanza e non contro l’istituzione che li emana. Oltre alle parole forti – «disaccordo, esige, settimane di negoziato, arbitrariamente, pienezza della propria autonomia» – anche la successione temporale denota l’irritazione: il presidente Conte termina la conferenza stampa domenica 26 aprile 2020 intorno alle 21,15. Quindici minuti dopo, alle 21,32 arriva il comunicato Cei. E Palazzo Chigi corre ai ripari: «Nei prossimi giorni si studierà un protocollo che consenta quanto prima la partecipazione dei fedeli».

Pronta obbedienza del Papa e della Cei – Le indicazioni delle autorità italiane sono subito recepite da Papa Francesco, dalla Santa Sede e dalla Cei: uffici chiusi, celebrazioni comunitarie abolite, distanziamento, mascherine, chiese aperte ma niente Messe. Il primo a dare il buon esempio è Bergoglio: udienze generali e Regina coeli nel chiuso del Palazzo apostolico; preghiera (27 marzo), Via Crucis (10 aprile), benedizione «Urbi et orbi» (12 aprile) nella piazza San Pietro vuota; niente Messa crismale né lavanda dei piedi (9 aprile); celebrazioni della Settimana Santa e di Pasqua all’altare della Cattedra nel chiuso della basilica vaticana. Così da due mesi nelle chiese con Messe via etere e senza il popolo e funerali nei cimiteri con la presenza di un diacono. Il 17 aprile, nella Messa mattutina a Santa Marta, Bergoglio mette in guardia: «La familiarità dei cristiani con il Signore è sempre comunitaria. Una familiarità senza comunità, senza pane, senza Chiesa, senza popolo, senza Sacramenti è pericolosa. Può diventare una familiarità gnostica». E soggiunge: «Qualcuno mi ha fatto riflettere sul pericolo rappresentato dal momento che viviamo. La pandemia ha fatto che tutti comunicassimo attraverso i media». Il popolo di Dio è collegato alla Messa via Internet e può fare solo la Comunione spirituale.

«No a una Chiesa viralizzata» – Ma «questa è la Chiesa di una situazione difficile, ma l’ideale è sempre con il popolo». Quando è uscita la notizia che avrebbe celebrato la Pasqua in San Pietro vuota, «un bravo vescovo, molto vicino al popolo» chiede: «Come mai? Perché non mette 30 persone perché si veda gente?». Quel vescovo voleva dirgli: «Stia attento a non viralizzare la Chiesa, i Sacramenti, il popolo di Dio». Conclude: «La Chiesa, i Sacramenti, il popolo di Dio sono concreti. In questo momento dobbiamo fare familiarità con il Signore in questo modo, ma per uscire dal tunnel e non per rimanerci. Celebrare la Messa senza popolo è un pericolo».

Pier Giuseppe Accorenro

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