26 Maggio 2020
Che cosa ci insegnano il Covid e il "caso" di Silvia Romano?

Si fa tanto parlare, in questi tempi, di emergenze e si sottolinea la necessità di maturare comportamenti più responsabili. Tutto ciò nell’ottica di prevenzione di una malattia che ha destato l’attenzione di medici, scienziati, politici, uomini di cultura e di fede.
Gradatamente, ognuno di noi si sta convincendo che sì, dovremo proprio cambiare almeno alcune delle nostre abitudini. Ma la resistenza è forte e in molti di noi prevale la speranza che presto si chiuda questa brutta parentesi e ritorni la normalità.
Ma quale normalità? Quella dei consumi sfrenati e dello spreco tollerato del cibo, dell’energia, del “just-in-time/voglio-posso”, della mentalità del “tanto non dipende da me cambiare il mondo…”?
Credo, piuttosto, che dobbiamo imparare (o re-imparare) la moderazione; dobbiamo riscoprire le cose semplici eppure meravigliose: il sapore del buon pane quotidiano, il piacere dell’attesa, la gioia dello stare insieme.
Le sfide sono tante e sono tutte aperte: la salvaguardia del Creato, l’attenzione agli Ultimi, l’equa ripartizione delle risorse. Sono poche parole che sottendono enormi cambiamenti. E questi cambiamenti hanno il loro prezzo nel nostro impegno; sono dunque questi gli aspetti con cui confrontarci.
In questo periodo, tra l’altro, ricorre il quinto anniversario della “Laudato si’”: un prezioso ed attualissimo compendio a cui dovremmo far riferimento, come cittadini e ancor più come fedeli.
Tra i molti e contrastanti segnali di questi stessi giorni, poi, emerge la vicenda di una giovane cooperante liberata dopo moltissimi mesi di prigionia. Su questo episodio si sono manifestati sentimenti contrapposti dai quali sono scaturite prese di posizione talvolta sconcertanti.
Come membro del Gruppo dell’Amicizia Islamo-cristiana, con grande tristezza rilevo la veemenza di coloro che si sono affrettati a considerare con severità la scelta operata di dedicare un periodo della propria vita a favore dei bambini di un villaggio africano. Con sofferenza annoto la condanna senza appello per la dichiarata conversione della giovane.
Al contempo, però, mi domando sulla base di che cosa ci si possa arrogare il diritto di giudicare l’orientamento religioso -che sia solo espresso o che sia profondamente maturato- di chi ha subito un così lungo periodo di prigionia.
La Fede impegna a coniugare aspetti profondamente personali con i comportamenti sociali che ne sono indotti e viceversa: chi di noi potrebbe escludere di vivere secondo la fede mussulmana, o ebrea, o buddista od altra se fosse nato in Paesi dove prevalgono tali religioni?
Fin dai primi decenni della storia della Chiesa, poi, sono ricordati episodi di cedimento al paganesimo da parte di Cristiani a seguito delle forti pressioni psicologiche prima ancora che delle persecuzioni fisiche da parte del potere imperiale romano.
Il dibattito che ne scaturì vide la contrapposizione tra diverse atteggiamenti
rispetto alla Fede; ma come scordare il più grande tradimento di Pietro nell’ora della prova? È la costante suggestione di una fede pensata senza crepe, granitica, incorruttibile, assoluta.
Ma come coniugare un assoluto con la debole ed imperfetta natura umana? Certo, questa semplice considerazione non vuole giustificare l’opportunismo di una scelta di fede, più o meno condizionata, più o meno definitiva; al contrario, ne esalta l’eccezionalità eroica dei Martiri!
Emerge allora un delicato punto di snodo: ogni presa di posizione implica una grande, libera capacità del discernere; occorre, a questo punto, sottolineare il nesso tra questa prerogativa umana e lo Spirito Santo: Esso dispensa tra i fedeli grazie speciali a ciascuno, nell’ottica di un continuo rinnovamento della Chiesa che deve saper rispondere ai segni dei tempi. Spetta, così, ad ogni fedele scoprire attraverso la preghiera e la meditazione il proprio carisma.
In momenti in cui siamo chiamati da Papa Francesco alla preghiera comune tra tutti i Credenti che seguono diverse tradizioni, ognuno di noi deve imparare il valore del silenzio per lasciar parlare lo Spirito.
Quello Spirito che faceva muovere le pagine del vangelo durante la cerimonia funebre di s. Giovanni Paolo II, mentre rimbalzava alla memoria il ricordo degli abbracci fraterni all’Incontro di Assisi con i rappresentanti delle diverse religioni.
Questa sembra la cornice ideale entro la quale inquadrare la Fede, raro diamante dai mille riflessi, donatoci dal Dio di Amore e di Giustizia.
Ed anche se il cammino della vita spesso è contorto – secondo le prove cui ciascuna persona è sottoposta- la Fede, come il più prezioso dei doni è custodita ed alimentata nel silenzio del cuore e nel mistero dell’anima, impermeabile ad ogni giudizio umano.
Giorgio D’Aleo
Gruppo amicizia Islamo Cristiana
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