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Fatti e opinioni  

Blasfemia contro il Cristianesimo nella cerimonia d'apertura dei Giochi Olimpici di Parigi

Blasfemia contro il Cristianesimo nella cerimonia d'apertura dei Giochi Olimpici di Parigi

Pier Giuseppe Accornero commenta la cerimonia inaugurale dei Giochi Olimpici di Parigi 2024, con la parodia dell’Ultima Cena di Leonardo, da cui molti credenti si sono sentiti offesi.

I francesi vogliono sempre insultare e dileggiare qualcuno, specie in campo religioso. È più forte di loro. Ricordate, qualche anno fa? La voglia di un settimanale satirico di irridere a Maometto e Allah provocò una strage, da tutti condannata. Ma se i vignettisti avessero frenato le loro voglie e le loro matite, forse la strage – comunque un male – non ci sarebbe stata. E non venite a dirci che sono liberi: nessuno ha diritto o è libero di irridere la religione altrui.

All’apertura dei Giochi olimpici di Parigi c’è stata la vergognosa e blasfema parodia dell’«Ultima Cena» di Leonardo in cui Cristo è sostituito da una donna obesa e i discepoli da figure queer e trans: «Scene di derisione e di scherno del Cristianesimo, che deploriamo profondamente». La Conferenza episcopale in un nobile comunicato critica gli artisti di avere pregiudizi ideologici e deplora queste provocazioni che feriscono tutti i cristiani: «Il progetto “Holy Games” ha mobilitato per quasi tre anni un gran numero di cattolici per condividere il fervore sportivo e popolare dei Giochi, magnifico evento organizzato dal nostro Paese. Abbiamo organizzato la Messa di apertura della “Tregua olimpica” con numerose personalità religiose, politiche e sportive. Crediamo che i valori e i principi espressi e diffusi dallo sport contribuiscano al bisogno di unità e fratellanza di cui il mondo ha disperatamente bisogno, nel rispetto delle convinzioni di tutti, intorno allo sport che unisce e promuove la pace tra le nazioni e i cuori».
La cerimonia ha offerto alcuni meravigliosi momenti di bellezza e gioia, ricchi di emozioni e universalmente acclamati. «Purtroppo, la cerimonia ha incluso scene di scherno e derisione del Cristianesimo, che deploriamo. Ringraziamo i membri di altre confessioni religiose che hanno espresso la loro solidarietà. Pensiamo a tutti i cristiani di ogni continente che sono stati feriti dall’oltraggio e dalla provocazione. La celebrazione olimpica va ben oltre i pregiudizi ideologici di alcuni artisti. Lo sport è una meravigliosa attività che delizia i cuori degli atleti e degli spettatori. L’olimpismo è un movimento al servizio di questa realtà di unità e fraternità umana. Le esibizioni pirotecniche e spettacolari hanno celebrato la storia francese, ma secondo molti hanno oscurato gli atleti e gli altri Paesi», con una cerimonia lunga, spettacolare, coreografica, molto appariscente di quasi quattro ore: «New York Times» la definisce «un capolavoro di storia e sorpresa, di kitsch e sport, di arte e moda»; il «Guardian» «uno spettacolo altamente kitsch».

L’arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la vita, sostiene il giudizio dei vescovi francesi: «Questo alto ideale di fraternità è infangato da una blasfema derisione di uno dei momenti più santi del Cristianesimo». Lo spettacolo ha avuto lo stesso effetto degli impressionisti nell’Ottocento: applausi e scandalo. La Francia ha scherzato sui suoi topi nei sotterranei, su Maria Antonietta con la testa staccata sottobraccio, sulla banda della Repubblica che suona e balla di fronte alla tomba di Napoleone.

L’ideatore Thomas Jolly si difende: «Non volevo essere sovversivo, né choccare alcuno. In Francia abbiamo il diritto di amarci, come vogliamo e con chi vogliamo. Abbiamo il diritto di credere o di non credere. Abbiamo messo in scena semplicemente le idee repubblicane, di benevolenza e inclusione». Ma, ricordi signor inventore, neanche in Francia è consentito dileggiare le altre persone, gli altri popoli, le altre razze, le altre culture, le altre religioni.

Ci azzecca il quotidiano «Avvenire»: «Evento planetario trasformato in un “gay pride”. Se volevano stupirci con la loro grandeur, gli organizzatori, registi, coreografi, nani e ballerine ci sono riusciti, ma niente affatto alla grande. Come un piatto di “nouvel cousine” gli chef hanno messo in pentola di tutto: pop, rock, lirica. E poi hanno shakerato gli ingredienti con un pizzico fin troppo abbondante di imprescindibile “fluidismo”. Sono andati giù pesante di trucco e parrucco a ridisegnare un’umanità che ormai pare aver senso solo se trasgredisce. Non prendeteci per biechi bacchettoni moralistici, ma che senso ha dover vivere ogni singolo evento planetario, per di più sportivo, come se fosse un “Gay pride”? Perché il villaggio olimpico deve essere scambiato a tutti i costi per la nuova residenza dei vecchi cari “Village people”? Perché questa necessità ossessiva di sbandierare a ogni costo il vessillo della diversità e appendersi delle medaglie al collo che diventano ineleganti collane bisex. E poi sbertucciare anche L’ultima cena con un apostolato di “drag queen” che in confronto le ballerine del Moulin Rouge passano per delle educande: un’offesa gratuita e di cattivo gusto non soltanto all’arte ma anche e soprattutto alla sensibilità religiosa di tanti, in lampante contrasto con quella sbandierata, a senso unico, volontà di tutelare qualsiasi credo, preferenza e orientamento».

Pier Giuseppe Accornero

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