2 Novembre 2017
Non è tutto diamante quel che luccica
Banche. Distribuire prodotti da investimento: responsabilità e doveri
Un tempo i panieri bancari comprendevano solo dei prodotti sperimentati (in numero praticamente chiuso) e la vendita era sempre assistita dalla competenza specialistica dell’offerente e da una conoscenza consolidata e diffusa nell’ambito della domanda. Verso la fine del millennio l’acerrima competizione fra gli Istituti e la lotta per conquistare il territorio, le perdite subite nel campo degli investimenti e degli attivi commerciali, lo svilimento dei patrimoni e le esigenze del conto economico hanno spinto le banche a farsi carico della distribuzione di generi anche estranei al loro business tradizionale. Prima le monete della Zecca, poi qualche riproduzione artistica, quindi le polizze assicurative di società collegate o controllate, per arrivare ai tempi moderni dove il miraggio delle commissioni e un network attraente le ha convinte ad abbracciare la causa di qualche produttore (distributore) di prodotti non finanziari, destinabili a investimenti speculativi. Non è certo il caso di rivangare la necessità che chi vende conosca a fondo le caratteristiche degli strumenti offerti per valutarne il rischio insito e la loro appropriatezza rispetto al profilo del potenziale acquirente. E anche l’allargamento del paniere può essere una saggia decisione, per fornire una scelta più ampia e pertinente ai pressanti bisogni dei risparmiatori (leggi fame di guadagni). Non posso però esimermi dal puntualizzare come ogni sconfinamento dal campo praticato (o pertinente) richieda attenzione, preparazione e conoscenza, altrimenti tutto si traduce nel semplice collocamento inesperto (vendita carente dei presupposti essenziali) che può far bene al conto economico, ma cancella, di fatto, alcuni fondamentali, tipici del ruolo. Spiace ricordare qualche precedente, ma è doveroso farlo. Abbiamo iniziato dai titoli obbligazionari ad alto rischio, rivenienti da grandi collocamenti in capo a emittenti noti, inseriti in magazzini di “pronta vendita”. La prima linea non sempre conosceva i reali livelli di rischiosità (spesso erano titoli senza rating), ma aveva a sua disposizione qualche notizia, prima fra tutte l’attrattiva del nome. Possiamo sostenere che quella competenza fosse sufficiente a interfacciare un cliente fortemente attratto dai tassi proposti? O che all’interno della piramide gerarchica certe considerazioni riservate circolassero liberamente spostando in basso i dubbi della “stanza dei bottoni”, fatta salva la pressione a far fuori il magazzino? Certamente no!
E veniamo alle polizze assicurative contro i danni. L’ho sentito tante volte quel semplice e schietto discorso: “Non mi sento addosso la competenza per vendere correttamente questo prodotto, sono un bancario, non un assicuratore”. E ancora “Se lo faccio contribuisco a raggiungere il target, ma il cliente, poi, mi ringrazierà?”.
In un certo senso è più facile vendere dei Fondi comuni di altri, sulla base di prospetti analitici precisi e affidabili, è sempre la stessa minestra anche se non si conoscono, magari, la ricetta, gli ingredienti aggiuntivi e i tempi di cottura.
Lo so, lo so, qualcuno penserà che l’evoluzione dell’offerta bancaria debba seguire quella dei bisogni (desideri) dei risparmiatori, che la speculazione e il gioco siano molto di moda, che quando più clienti chiedono dei nuovi prodotti non si possa rispondere con un diniego o con giri di parole finalizzati a scoraggiarli. “I Buoni del Tesoro sono a zero, le obbligazioni anche, le azioni sono troppo pericolose, i derivati non fanno per me. Dove posso battere la testa per cercare un’alternativa alla liquidità sul conto, che non mi rende nulla?”.
Questa può essere stata la leva, amplificata dalle voci di sportello e raccolta da qualche Capo, molto attento al soddisfacimento del cliente, alla crescita dei ricavi non finanziari e a un’arma in più nella battaglia quotidiana con i concorrenti. “Essere un apripista fa anche bene all’immagine!”, possono aver pensato. Trattare diamanti, però, richiede una perfetta conoscenza del mercato e del prodotto, e non basta la parola (e la pretesa esperienza) dell’azienda fornitrice, perché, se è vero che il prezzo è assiduamente controllato dai dominus del mercato, e persegue una lievitazione progressiva, è anche vero che la banca non è sempre in grado di valutare le pietre con la giusta approssimazione (come facevano, per intenderci, i periti dei Monti dei Pegni). Il rischio è in sostanza quello riferibile ai titoli a basso rating e ai Fondi mal gestiti: assegnare alla clientela una perdita al di fuori delle componenti di rischiosità tipiche del mercato (nel caso di prezzi all’origine perfettamente allineati alla qualità del prodotto).
Ascoltiamo quindi attentamente le varie sirene, ma impegniamoci sempre in un’analisi approfondita, senza trascurare il nostro profilo di investitore, ben sapendo che le parole non sono oro colato e tanti atteggiamenti scaturiscono da altri interessi.
Sergio Martini
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