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Fatti e opinioni  

Afghanistan, ora serve la mobilitazione

Afghanistan, ora serve la mobilitazione

Il dramma afghano si aggrava di giorno in giorno. Con un grande rischio: progressivamente si spegneranno i riflettori su quel paese che era e resta decisivo per le stesse sorti della geopolitica mondiale e i crimini che puntualmente verranno commessi passeranno decisamente sotto silenzio. Il tutto sottoposto alle leggi dure e spietate della realpolitik. Abbiamo già avuto un assaggio di questo atteggiamento. Passati i primi giorni terribili e spietati per volere dei taleban e delle loro assurde convinzioni ideologiche mascherate da una falsa religiosità, le leggi dei nuovi sostenitori dell’emirato islamico hanno cominciato a farsi largo e le possibilità concrete per quelle popolazioni di fuggire da quel paese si sono ridotte al lumicino. Le donne cominciano a non poter più uscire da casa se non accompagnate dai mariti o da altri maschi, l’economia rischia lo sfracello con la chiusura delle banche, la pubblica amministrazione sprofonda causa anche l’inevitabile licenziamento in massa delle donne, i processi produttivi subiranno un duro contraccolpo e, in ultimo, qualsiasi barlume di democrazia è destinato a scomparire definitivamente. Questo è il regime dei taleban e con questo regime i vari paesi, democratici e non, inizieranno le trattative per difendere e consolidare i propri interessi.

Ora, si tratta di capire se almeno l’Occidente democratico e civile avrà la forza di accompagnare il dialogo con quel regime sanguinario e spietato – pur senza riconoscerlo politicamente – evidenziando, al contempo, le plateali contraddizioni e le gravissimi violazioni delle più elementari regole che caratterizzano la vita normale e quotidiana delle persone. Se tutto ciò non dovesse accadere, come è largamente probabile se non attraverso inutili annunci e fumose ed impotenti dichiarazioni di rito, sarà inevitabile assistere ad un nuovo, ed ennesimo, massacro delle popolazioni civili da parte di un regime sanguinario e fanatico. Con l’aggravante, altrettanto pericolosa e nefasta, di trasformare quel paese in una nuova culla del terrorismo di matrice islamica che somma cellule incontrollate e devastanti per lo stesso ordine mondiale. Come è già avvenuto nel passato e che puntualmente rischia di riproporsi in tutta la sua drammaticità oggi.

 

Ecco perchè, forse, è giunto il momento per far sì che l’attenzione alla politica estera, soprattutto in quelle zone dove la violenza fisica, la violazione dei diritti umani e il terrorismo sono pane quotidiano, diventi centrale nella nostra azione politica, sociale, culturale e anche religiosa. Non possiamo assistere inerti o passivi al dramma di quelle popolazioni che soffrono quotidianamente e perennemente la violenza di chi li governa attraverso le armi spianate e regole fuori dalla storia. Verrebbe da dire, mutuando un vecchio slogan, «se non ora quando»?

 

Stefania Parisi

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