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Cultura  

Rileggendo Charles Dickens. ZIO DANIEL, IL PESCATORE

Rileggendo Charles Dickens. ZIO DANIEL, IL PESCATORE

La paternità e maternità spirituale è vissuta da una svariata gamma di uomini e donne nelle opere di Charles Dickens. L’acquisizione di questo atteggiamento è parte integrante, ad esempio, della “conversione” di Scrooge, il protagonista del famosissimo “Canto di Natale”.
Per rimanere nell’ambito del “David Copperfield”, non possiamo dimenticare la zia Betsy, segnata dalla delusione di un matrimonio fallito. Le sofferenze che le hanno inasprito il carattere non le hanno tolto la generosità (continua di nascosto a soccorrere economicamente il marito che l’ha sempre ingannata e vive da emarginato) e non le impediscono di esprimere tutta la sua affettività di “sorella e madre”. Già prima di adottare il piccolo David aveva accolto in casa un parente con problemi psichici; sottraendolo alla segregazione manicomiale, e offrendogli un ambiente sereno e protetto dove può esprimere le sue capacità residue: grande purezza di cuore e singolari intuizioni che gli permettono anche di aiutare altri in modo inatteso e prezioso.
Ma fra tutti i personaggi acquista un ruolo speciale Daniel Peggotty, il cognato di Barkis, protagonista di una vicenda che più volte rimanda, implicitamente o esplicitamente, alla Parola di Dio.
Fa il pescatore, come i primi apostoli. Consapevole di esprimere la sua dignità personale collaborando alla vita sociale con un lavoro onesto, sa mettere insieme umiltà e sana autostima nei rapporti con gente di ogni ceto sociale. Testimoniando a tutti ( pensiamo al dialogo con la madre del seduttore di sua nipote, una donna ricca che vorrebbe “liquidare la faccenda “ offrendogli del denaro) una verità fondamentale: i poveri non sono «gente moralmente inferiore» da sfruttare, schiavizzare, vendere e comprare.
Celibe, si è messo sulla strada di Dio «padre degli orfani e difensore della vedove» educando due nipotini orfani, cugini fra loro, i cui rispettivi padri sono stati “portati via” dal mare, che talvolta offre i pesci e talvolta uccide con le sue tempeste. Ed ha fatto entrare come sorella nella sua dimora (una singolare barca tratta in secco e ristrutturata) la vedova indigente di un suo collega, la signora Gummidge, afflitta da una grave forma di depressione.
La vita serena di zio Daniel è sconvolta quando la nipote ormai adulta, Emily, fugge di casa alla vigilia delle nozze per seguire James: uno studente dalla personalità affascinante e contraddittoria, rovinato da un narcisistico «complesso di superiorità intellettuale e sociale» che gli impedisce di sviluppare bene le sue qualità positive. Vuol dominare gli altri anche quando li aiuta, non sposerebbe mai una ragazza povera ma pensa di poterla “usare per un capriccio”, rende infelici gli altri e se stesso.
Il trauma è pesante, ma Daniel non crolla. Con un atteggiamento che rimanda al Buon Pastore e al Padre Misericordioso, decide di partire alla ricerca della sua piccola che non smetterà mai di amare e perdonare, disponendo nello stesso tempo che una candela rimanga sempre accesa alla finestra della vecchia casa, perché lei (nel caso volesse tornare) sappia di essere desiderata e accolta. Viaggia come un pellegrino attraverso l’Europa, seguendo la pista di labili indizi e di provvidenziali aiuti che talvolta lo portano a un passo dalla “pecorella”; si mantiene lavorando, è sostenuto da persone di varie condizioni sociali; nell’incontro con madri e bambini vive, superando ogni barriera di lingua, scene di sapore evangelico. Sa che il bene seminato nel cuore di Emily non può andar distrutto. E in effetti lei non sarà mai appagata dalla lusso e dalla schiavitù dorata che James le offre; troverà qualche momento di pace solo nel dialogo con povera gente semplice ed onesta: le famiglie dei pescatori italiani, per cui non vuol essere la “signora” ma la “figlia del pescatore”.
Sia il dolore di Daniel, sia il suo modo di affrontarlo diventano per altri fonte di vita e di speranza. Spingono la signora Gummidge a rompere il circolo vizioso dell’introversione autodistruttiva per proiettarsi fuori di sé e mettersi al servizio del prossimo, a partire proprio da quell’uomo che l’ha sempre fraternamente aiutata e a cui ora riesce ad esprimere gratitudine citando apertamente il Vangelo. E poi c’è Martha: donna così simile alle peccatrici del Vangelo, disprezzate dall’opinione pubblica e guarite dentro dall’incontro con la misericordia risanatrice di Gesù. Martha si ritiene irrimediabilmente perduta, esclusa da ogni rapporto con il Bene, prigioniera di una nera disperazione che la spinge al suicidio. La possibilità di collaborare gratuitamente con Daniel per cercare Emily le fa intuire un orizzonte inatteso, in cui ritrovare un nuovo rapporto con se stessa, con gli altri, con Dio. E in effetti sarà proprio lei a soccorre Emily in modo risolutivo, raggiungendola in una casa dove la ragazza si credeva al sicuro, ospite di una sedicente amica che le aveva offerto onesti lavori di cucito, ma in realtà voleva imprigionarla nel pozzo della prostituzione. L’estrema tensione emotiva della fuga in cui Martha strappa da quella rovina, appena in tempo, la potenziale, inconsapevole vittima della tratta, rivive nella narrazione di Daniel a David Copperfield, partecipe testimone del suo cammino. Una narrazione in cui il vecchio ricorda tutte le traversie di Emily con un linguaggio che dimostra quanto l’azione e le parole di Gesù animino la sua personalità.
Alla fine lo zio assume il ruolo di “leader morale” per un gruppetto che lascia l’Inghilterra ed emigra in Australia. E David saprà come Emily, Martha, la Gummidge e altri personaggi di sua conoscenza, tutti segnati da fragilità e ferite, abbiano trovato attraverso la migrazione lo spazio per costruire una vita bella e buona: trasformati da “scarti” a operatori di serenità e pace per sé e per il prossimo.

B.L.

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