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Cultura  

TFF 41. "KUBI" di Takeshi Kitano

TFF 41.

KUBI

Chi non conosce il genio di Takeshi Kitano si potrebbe approcciare al film come a un normale Jidaigeki, ovvero un period drama nipponico spesso ambientato nel periodo Edo o Sengoku.

Non è così.

Partiamo proprio da Kitano, autore prolifico ed eclettico, nato come comico e sbarcato presto come attore, regista e autore televisivo. I meno avvezzi in Italia potranno ricordarlo per una sua creazione di particolare successo: Takeshi’s Castle. Bisogna dire che anche sotto questo aspetto non si è stati del tutto fedeli all’ autore dalle nostre parti. Infatti il nostro corrispettivo, chiamato Mai Dire Banzai, oltre a riportare una non corretta telecronaca da parte della Gialappa’s Band, univa anche spezzoni di un’altro reality chiamato The Gaman. Le sorti cambiano per Kitano nel 1997 quando proprio in Italia vince il Leone d’Oro alla Mostra Cinematografica di Venezia con Hana-Bi – Fiori di Fuoco. Uno dei tanti yakuza movie creati dall’ autore e che lo porteranno al successo cinematografico internazionale, soprattutto grazie ad un talento narrativo e una voce personalissima nel narrare questo genere di vicende. Non volendo fare una monografia dell’autore arriviamo direttamente al 2003 dove nella stessa Venezia Kitano vince il Leone d’argento con Zatoichi. Il 27esimo film sul massaggiatore cieco Ichi, ronin del XIX dalla grande fama.

Facciamo un salto in avanti e arriviamo a 20 anni dopo, nel 2023, quando esce Kubi. Come dicevamo Kubi non è un classico Jidaigeki, come Zatoichi, ma affronta il genere con gli stilemi tipici degli yakuza movie. Le vicende narrate sono quelle dell’ incidente di Honno-ji che segnò la fine di Oda Nobunaga nel XVI secolo, periodo Sengoku.

Seguiamo soprattutto i rapporti tra i vari signori dell’ epoca, che appaiono più come capi mafiosi che uomini di spirito, come si è solito rappresentarli nel genere. Assente o quasi la presenza di donne nel film. Una scelta forte e in linea con il collegamento che Kitano vuole fare con i suoi Yakuza movie. I giochi di potere, i subdoli omicidi e tradimenti sono cose da uomini, poiché non vi è alcuna grazia nelle parole, nei movimenti e nelle battaglie. Tutto sembra cruento, spietato e sporco. Dal più piccolo contadino al più grande dei sovrani, tutti sono pronti a tradire il prossimo per un piccolo pezzo di successo. Non vengono risparmiati gli aspetti più critici e spesso omessi dell’epoca. Come il rapporto omosessuale che intercorreva tra molti samurai che prendeva il nome di Shudo ed era una pratica sociale legata proprio al potere. L’unico che sembra non capire e intraprendere questo tipo di rapporti è Hideyoshi, interpretato dallo stesso Kitano. Il regista si ritaglia una parte, interpretando il signore di umili origini ma non per questo meno subdolo e capace insieme ai suoi uomini di ordire piani per spodestare i vari concorrenti al trono. La sua è sicuramente una delle parti più comiche del film ed è interessante notare come spesso venga rappresentata in modo cabarettistico. Il suo rapporto con il fratello ricorda infatti il cabaret manzai, dove Kitano e chi lo circonda si spartiscono il ruolo di tsukkomi (uomo retto e severo) e boke (uomo sciocco e divertente).

Dopo 30 anni di gestazione e un libro sull’ accaduto Kitano riesce partorire la sua nuova creatura, un film corale come già ci aveva abituato recentemente con la trilogia Outrage ma che va a sondare più a fondo in un epoca da cui molte delle tradizioni giapponesi sono nate, tra queste proprio la Yakuza. Forse non storicamente accurato, capace di insinuare dubbi e sospetti su alcune verità storiche, ma sicuramente interessante nel suo modo personale di raccontarci la storia. 

Non il solito Jidaigeki, ma il Jidaigeki di Takeshi Kitano.

 

Federico Depetris

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