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Cultura  

TFF 41. "Dance First" e "Le Règne Animal"

TFF 41.

DANCE FIRST

“Son fatto così. O dimentico subito, o non dimentico mai”, affermava Estragone in “Aspettando Godot”, opera più famosa di Samuel Beckett

Quando si ha a che fare con i film biografici il difetto è sempre lo stesso, spesso sembra di ritrovarsi davanti una trasposizione teatrale della pagina Wikipedia del personaggio, senza che l’opera trovi una voce propria. L’ultima opera di James Marsh, autore decisamente avvezzo ai film biografici, sembra per buona parte trovare una propria voce permettendo a Beckett di raccontare non i fatti, ma le persone della propria vita. Nel farlo dà voce ad un dialogo con se stesso, un confronto surreale e ironico in linea con lo stile del personaggio/autore.  Ma se per circa metà film la suddivisione in capitoli e l’ironia reggono il gioco ad un impianto abbastanza scarno retto principalmente sulle ottime interpretazioni degli attori, quando l’opera deve tirare le fila il castello di carte cade, regalandoci un ultimo atto non all’altezza e che riporta il film su binari più classici.

“Non hai mai saputo scrivere i finali” commenta Barbara nell’atto finale. La frase sembra quasi una dichiarazione d’intenti. L’opera stessa cambia, dal bianco e nero iniziale al colore, tornando sui binari di un film biografico classico, più vicino agli sceneggiati Rai che a quello che ci si poteva aspettare dopo un’inizio promettente.

LE RÈGNE ANIMAL

Quanto può cambiare una metafora mentre la si racconta?  È risaputo che quasi tutti i migliori horror nascondono dietro di sé una metafora. Spesso si tratta di un concetto universale che tutti noi almeno una volta nella vita proviamo o vediamo. Le Règne Animal, film francese di Thomas Cailley, si presta benissimo a questo gioco narrativo. In un mondo uguale al nostro alcune persone iniziano a mutare, trasformandosi pian piano in animali antropomorfi.

Nella scena iniziale i nostri due protagonisti, Émile e suo padre, sono bloccati nel traffico e proprio come Guido Anselmi in decidono di avventurarsi in mezzo alle macchine. In questo momento abbiamo il primo incontro con una persona mutata. Quel che ci viene mostrato è difficile non ricondurlo alla pandemia Covid: le persone sono spaventate, si parla di quarantena, i “malati” vengono estromessi dalla società.  Proseguendo nell’opera però questo aspetto viene pian piano fatto scivolare via e quando la mutazione colpisce lo stesso Émile, portandolo ad avere problemi nell’inserimento con i suoi coetanei, la metafora si trasforma e diviene un’altra cosa.

Ecco che quindi l’escamotage narrativo si confronta con la crescita e le difficoltà di un adolescente, la mutazione come cambiamento, Emile non si ritrova più nel proprio corpo che cambia, diventa più forte.  Émile non si riesce più a confrontare con le persone che lo circondano, istintivamente viene portato a cercare nuove amicizie tra i boschi dove altri come lui si nascondono. Qui “Le Règne Animal” muta nuovamente, proprio come i propri protagonisti, e la metafora si trasforma in una critica alla xenofobia. I non mutati che cacciano, letteralmente, i mutati, spaventati dalla loro diversità. La paura che serpeggia tra i volti dei semplici cittadini, la rabbia e la violenza portate da quello che Hannah Arendt definiva la banalità del male.

Fortunatamente il film di Cailley però non si ferma qui, una o più buone metafore non possono reggere un’opera di 130 minuti. “Le Règne Animal” è anche un film perfettamente recitato, con un montaggio sonoro sorprendente e che riesce a mescolare l’horror, il fantasy e il film di formazione sapientemente. Un film mutevole che colpisce per i suoi livelli di lettura ma soprattutto per la genuinità del prodotto che non ha nulla da invidiare, anzi, ad un grande film.

Federico Depetris

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