Dal “Vintage Catholic” alle spiritualità senza Dio, ecco come cambia il contesto religioso contemporaneo

 

Esiste un sito statunitense – con relativi social – che vende on line il “Vintage Catholic”. Vale a dire oggetti usati con rappresentazioni sacre riconducibili in qualche modo alla tradizione e alla devozione cattolica. Il sito è tradotto in diverse lingue tra cui il cinese, ma curiosamente non in italiano. Forse perché di “Vintage Catholic” ne abbiamo tanto, perfino troppo. In tutte le case, facendo un inventario anche sommario, è facile mettere insieme una ricca serie di oggetti che rientrano in questa tipologia: crocefissi, quadri e bassorilievi (con immagini della Vergine o di santi), corone del rosario più o meno preziose, per non parlare delle statuette del presepe (quelle in gesso o cartapesta per ora, quelle in plastica saranno “vintage” tra qualche anno). E che dire delle sacrestie o, ancora meglio, dei sottotetti delle canoniche dove negli anni si sono accumulati ex voto, arredi liturgici e innumerevoli “cosi divini”, per dirla con Pierangelo Bertoli?

Siamo sommersi dal sacro. O almeno da quegli oggetti che richiamano una dimensione sacra. Parallelamente, però, si va affievolendo il senso del sacro e ancora di più del “Catholic”. Il problema nasce quando questo tipo di oggettistica diventa fine a se stessa, una merce di moda da vendere o una curiosità da esporre in qualche mostra.

Il significante (l’oggetto) perde il suo significato (il sacro). E con la morte del suo significato l’oggetto smette di parlare, termina la sua funzione originaria per assumerne altre, più o meno nobili ma non necessariamente dissacranti.

Questo esempio rende evidente nel piccolo un fenomeno sociale molto ampio e ben esposto nella pubblicazione “Spiritualità senza Dio” (ed. Mimesis) di don Luigi Berzano, sacerdote e sociologo. Come diretta conseguenza del secolarismo che da anni caratterizza i paesi occidentali oggi assistiamo ad una forma di pluralismo religioso percepito come «diritto di credere a tutto o a niente». Ne consegue anche un individualismo che, come scrive Berzano, porta ad «adattare a proprio gusto anche le spiritualità, come si fa con i vestiti, le abitazioni, i consumi, le attività sociali». In altre parole una sorta di “designer religion”, «una religione che si adatta allo stile individuale, che si ridisegna su di sé con molte analogie alle culture dei consumi». Si verifica quindi un diffuso allontanamento dalle religioni istituzionali tipico della post-secolarità che conferisce «all’esperienza religiosa e alle molte spiritualità profili e contenuti che non discendono più da una dottrina, che non hanno più l’utilità sociale del passato di essere ben integrati nel proprio ambiente religioso. Queste nuove spiritualità, più che elaborazioni di dottrine , sono risposte a bisogni esistenziali di senso».

Tutto ciò non necessariamente deve essere letto come una degenerazione, quanto piuttosto come una nuova e inedita sensibilità. Gli “oggetti” sacri senza il senso sacro da una parte e la spiritualità senza Dio dall’altra rivelano l’uomo contemporaneo con le sue contraddizioni e lanciano anche una sfida al mondo della cultura e alla Chiesa. Oltre la tentazione di arrendersi o di celebrare la disgregazione si profila la possibilità di risignificare i significanti e, ancora di più, le esperienze.

Patrizio Righero

Maria Ausiliatrice - Foto Patrizio Righero