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Cultura  

Quando in Italia c’erano gli etruschi

Quando in Italia c’erano gli etruschi

Il 16 marzo il prof. Mandolesi ha riferito le ultime scoperte archeologiche di Tarquinia Per festeggiare i primi 150 anni dell’Italia unita il Museo dell’Arma di Cavalleria, il Museo di antropologia ed archeologia e il Museo del Mutuo Soccorso hanno aperto le loro porte al pubblico per tutta la serata del 16 marzo. Notte bianca? No, tricolore e l’Istituto Civico “Corellli” ha contribuito con brevi esibizioni all’interno dei singoli musei.
In contemporanea, gli amanti della civiltà etrusca e i soci del CeSMAP hanno celebrato l’anniversario con un “viaggio alle origini”, in ascolto della relazione del prof. Alessandro Mandolesi su “Le ultime scoperte di Tarquinia”. Mandolesi ha esordito con un inquadramento storico della civiltà etrusca e del Mediterraneo dell’VIII e VII secolo a.C., allorché inizia a diffondersi la cultura “orientalizzante”, caratterizzata dalla distribuzione e dall’imitazione di oggetti e motivi vicino-orientali (soprattutto Grecia).
Nell’ambito di questa stagione storica, come spiega Mandolesi, emergono le ultime scoperte condotte dall’Università degli Studi di Torino nella necropoli principesca della Doganaccia di Tarquinia, zona caratterizzata dalla presenza di due grandiosi tumuli della prima metà del VII secolo a.C. (età Orientalizzante), denominati “del Re” e “della Regina”. La monumentalità della tomba si lega direttamente al prestigio sociale del defunto e della sua famiglia: il ceto aristocratico etrusco utilizzava, infatti, queste costruzioni come manifestazione della propria ricchezza e del proprio potere. La disposizione a coppie dei tumuli è indice di una stretta relazione fra i sepolcri: sarebbero, infatti, pertinenti a rami della stessa famiglia. Importante è inoltre la loro posizione topografica che, alla Doganaccia come in altre zone dell’Etruria meridionale (Cerveteri, Veio, Vulci), si trovano lungo le maggiori vie di collegamento con le città: ad essi va pertanto riconosciuto, nel paesaggio etrusco, il ruolo di segnacoli dell’ideologia aristocratica che basa il potere sulla proprietà terriera e sul controllo dei traffici commerciali.
Il primo tumulo fu esplorato nel lontano 1928 e restituì, malgrado un vecchio saccheggio, ceramiche dipinte di tradizione geometrica e di produzione greco-corinzia, vasi, nonché i resti di un carro principesco. Il tumulo “del Re” contiene una camera sepolcrale semi-costruita a pianta rettangolare allungata, accessibile da un ampio ingresso a cielo aperto, tanto spazioso da essere definito “piazzaletto”, all’interno del quale si dovevano svolgere cerimonie funebri. La scoperta di un’iscrizione sul fondo di uno dei vasi scoperti alla Doganaccia, che cita il nome di un greco “etruschizzato” (Rutile Hipucrates), rimanda al periodo di Demarato di Corinto, ricco mercante trasferitosi a Tarquinia attorno alla metà del VII sec. a.C., ritenuto padre del re di Roma Tarquinio Prisco.
I tumuli studiati, all’epoca ancora inesplorati e pieni di fascino, hanno ripagato gli sforzi dei molti archeologi. Purtroppo, alle difficoltà tecniche degli scavi, si aggiungono quelle economiche.
«Le prossime ricerche – ha concluso Mandolesi – punteranno a rimettere in luce la struttura pertinente a un personaggio di spicco all’interno della comunità tarquiniese dell’epoca orientalizzante. Le analisi cercheranno anche di contestualizzare questi monumenti all’interno della necropoli etrusca e del fenomeno delle tombe monumentali a tumulo che tanto suggestionarono i colti viaggiatori europei dell’Ottocento».

Cristina Menghini Il prof. Alessandro Mandolesi durante la relazione.

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