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Cultura  

MEDIA:GLI ITALIANI SFIDUCIANO GIORNALI E TV

MEDIA:GLI ITALIANI SFIDUCIANO GIORNALI E TV

LO RENDE NOTO UN SONDAGGIO DI RETINOPERA In un ipotetico “mercato della fiducia”, i media italiani (giornali e tv) hanno subito un autentico crollo nell’apprezzamento popolare. Da un magro 29% di fiducia del 2010, si è scesi al 22% del 2011, per toccare un drammatico 17 per cento nel 2012. Peggio dei media stanno solo le banche (con un terrificante 8% nel 2012) seguite da Parlamento, Governo e partiti che, solo grazie alla spinta dell’esecutivo Monti, conquistano un risicatissimo 15%. Queste cifre – ha affermato sul suo sito il presidente del Copercom Domenico Delle Foglie -emergono da un sondaggio Swg per conto di Retinopera, la rete sociale delle associazioni cattoliche.
La scarsa fiducia degli italiani nei media tradizionali (appunto, giornali e tv) deve valere come segnale d’allarme per chi opera in questo mondo. È un dato che interpella direttamente sia chi i media li progetta e li confeziona, sia le aziende che li editano. Inevitabile che il dato sulla sfiducia sia anche condizionato dalla crisi di settore: fra il 2006 e il 2011 sono state perse un milione di copie giornaliere di diffusione, con la pubblicità in calo del 5,5% nel settore dell’editoria cartacea.
Ma la sola crisi economica può giustificare un crollo di fiducia così vistoso? Cosa è accaduto in questi ultimi anni, da giustificare un tale tasso di disaffezione da parte degli italiani? Forse occorre scavare di più. E chiedersi, ad esempio, se sia un caso che ai gradini più bassi della fiducia ci siano proprio le banche, i partiti e i media. I cittadini sembrano voler dire che giornali e tv non sono alternativi al sistema di potere, quanto una parte di quel sistema. In altre parole, ci segnalano che i media non sono la soluzione al problema, quanto, piuttosto, una parte del problema. Senza evocare l’immagine, mitica quanto logorata, dei media come cani da guardia dell’opinione pubblica, ci vogliono ricordare alcuni limiti dell’informazione. Forse rinfacciano a giornali e tv la responsabilità di aver investito tonnellate di carta e ore di programmazione televisiva nel gossip, nella difesa o nell’attacco di questo o quel personaggio politico, nel racconto di un’Italia che già non c’era più. Un Paese improbabile che continuava a ballare sull’orlo dell’abisso, mentre la tempesta perfetta si preparava a spazzare via tutte le certezze dei ballerini. Poi è probabile che abbiano percepito sempre più l’informazione schierata secondo lo schema bipolare imperante. Così che ogni lettore-telespettatore sia stato iscritto, per inerzia, in questa o quella parte politica in perenne guerra di posizione. Sino al caso limite, della nascita dei giornali-partito. Il recente caso “Repubblica” (la festa di Bologna) e l’ipotizzata lista Saviano stanno lì a testimoniare un disagio reale. Per non parlare del duopolio televisivo Rai-Mediaset perennemente condizionato dalla politica. Così facendo, è entrato il crisi il rapporto fiduciario fra il lettore-telespettatore e il “suo” giornale-telegiornale.
Ovviamente, come in tutti i processi sociali, non è mai colpa di un solo uomo, ma qualcosa di grave è certamente accaduto se tanti cittadini hanno creduto di trovare solo nella Rete il sapore della verità. E addirittura, il luogo nuovo della politica, come testimonia l’exploit di Beppe Grillo e del Movimento 5 Stelle. Successo che, come ha evidenziato una ricerca della società Between per conto del “Corriere della Sera”, è stato fortemente condizionato dalla diffusione di Internet e dei social network, autentico “motore della macchina di Beppe Grillo”. Così, mentre i media tradizionali non riuscivano a spiegare al Paese in quale tunnel ci fossimo cacciati, cresceva un’altra informazione fatta di passa parola attraverso la Rete. Un’informazione che ha costruito una trama di opposizione sociale che è sfociata nell’antipolitica militante di cui lo stesso Grillo, con i suoi modi da Robespierre, è stato l’ispiratore.
Dunque, il tradimento dell’informazione ha contribuito alla nascita e al diffondersi dell’antipolitica. Pressati dalle ondate di giustizialismo che l’antipolitica promette, è ora di tornare a fare buona informazione. E magari tornerà anche la fiducia dei lettori-telespettatori. (COPERCOM)

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