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Cultura  

L’organizzato disordine di Tere Grindatto

L’organizzato disordine  di Tere Grindatto

Quando nell’ormai lontano 2009, per la prima volta, ho conosciuto l’opera artistica di Tere Grindatto (nella sua dimora di Villa Cardon dove lo scorso 30 giugno – sono stati esposti gli ultimi suoi lavori in occasione della presentazione del proprio libro “Disordine, Ordine, Disordine”), mi sono immediatamente trovato a confronto con un inatteso e singolare repertorio di dipinti del tutto imprevisti per le loro entità contenutistica e forma espressiva, ma anche per la curiosa sistemazione di archiviazione e conservazione per loro attuata dall’autrice.

Opere appese in armadi, come vestiti
Mi attendevo di vedere una serie di consueti quadri, correttamente collocati alle pareti nelle loro dovute cornici, ed invece – con mia sorpresa, ma anche interesse nel vedere qualcosa di diverso ed innovante – mi sono ritrovato avvolto da una serie molteplice e sovrapposta di fogli e di tele, magistralmente dipinte con una figurazione astratta di accesi cromatismi mescolati ma distinguibili, e composizioni polimateriche alquanto disparate, disposti su ripiani appositi ed occasionali, ma soprattutto appesi come tanti panni stesi o vestiti stipati in un armadio, infilati con sistematico criterio apparentemente caotico di cui soltanto l’artista conosceva la effettiva disposizione catalogata, per tematiche e anni.
Tere mi mostrava quelle sue esecuzioni con una certezza e precisione di riferimento che contraddiceva totalmente alla loro disposizione visiva, ed alla loro stessa modalità esecutiva, stravagante e caotica, di carattere informal-astratto, la quale appariva disarticolata e come senza coerenza: e che mostrava soltanto una identità unitaria nelle stesure dei colori e nel groviglio dei materiali (sebbene neppure una opera risultasse uguale alle altre, per quanto tutte fossero apparentemente simili).
Quel suo agitato e sconvolgente criterio operativo nel produrre i propri lavori e nel sistemarli pendenti, senza dovuta collocazione in cornici mi ha dato subito l’impressione non soltanto di una disinvoltura propositiva, ma di un disordine evidente tuttavia non abbandonato al caso, e perfino curato con percepibile rappresentazione di originalità intellettuale: che apparteneva non tanto ad una mentalità comportamentale quanto alla contingente (immanente) personalità creativa dell’artista, ed alla sua rincorrente ansia di giungere ad un risultato espressivo non definitivamente concluso bensì in divenire, tipico della procedura sperimentale di una ricerca mai terminabile.

 

L’esposizione in Villa Cardon a San Germano Chisone
Quella originalità sospesa, ma appositamente voluta, e per di più diffusa nel proprio ambiente domestico come parte dell’ammobigliamento e del vestiario, produceva tutto l’effetto del disordine concettuale che perfino di recente (nella sua incantata – ed anche in tale caso piacevolmente sorprendente – esposizione dei propri lavori nel cortile della sua dimora a San Germano, dove ella abita, e lavora oltre al proprio Studio in Pinerolo) Tere Grindatto ha voluto ulteriormente confermare con insolito coreografismo ambientale, etereo e disperso, ed altrettanto compostamente disordinato, quella sua endogena condizione di diversità concettuale ed estetica, e di spontaneità dispositiva.
Ma in questo caso, quella caotica esibizione di libere superfici all’aria, tanto fisse quanto mosse dalla brezza, in strettissimo contatto con i maestosi alberi dal parco, e sempre prive di appesantenti corniciature, nella semplice esibizione del foglio disegnato leggero o della rigida tela libera, si propongono come l’espressione di una curiosa, e percettibile, simbiosi formale tra la natura e l’arte: nel primo caso come occasionalità del fenomeno, e nel secondo quale manifestazione voluta dell’evento artificial-artistico cercato (o viceversa: effetto cercato della espressione voluta).
Il disordine espositivo, ed esecutivo, del lavoro grindattiano si ritrova nei suoi procedimenti, e nelle opere, come il caso è insito nei fatti naturali: nella conformazione delle rocce e dei rami, nel movimento delle foglie cadute e spostate dal vento, nelle mutevoli trasformazioni orografiche o nei cangianti avvicendamenti stagionali e metereologici.
Vicende di normale effettuazione consueta, ma senza un prestabilito condizionamento (se non quello delle imperscrutabili, o sfuggenti, leggi biologiche, e delle loro interpretazioni psicologiche).
Fatti che avvengono e non si sa come, e che procedono – per parafrasare una nota titolazione libraria, “dove ti porta il cuore”: cioè tramite la sensibilità che, captando il fenomeno reale, tende a trasformarlo secondo le rappresentazioni dei propri sentimenti e non solamente con i dettami logici dell’intelletto (che degli eventi contingenti definisce solamente un ordine cognitivo e di artificiosa sistemazione comprensibile).

Dal principio di indeterminazione alla teoria del caos: immanenza e decostruzione

Nella attuale epoca post-moderna, il vecchio ordine della modernità artistica – parafrasabile nelle inflessibili composizioni geometriche di Piet Mondrian e dei suoi colleghi neoplastici del Gruppo De Stijl (nonché in tutti i Razionalisti e Astrattisti interbellici di ogni nazione modernizzata e particolarmente tedesco-bauhausiani e costruttivistico-russo/sovietici) – ha dato spazio ad un disordine iconico-figurativo (scomposizione, decostruzione) che dalla rivoluzione oggettuale della Pop-Art alla aggrovigliata o caotica esplosione dell’Informale (segnico, gestuale, materico), ha condotto alle più eterogenee espressioni morfologiche odierne, che coinvolgono perfino la performazione corporea (Body-Art) e l’intervento nel territorio (Land-Art), nonché la prevalente tematica mentale (concettualismo, arte povera, fluxus), nonché gli strumenti mediatici totalmente estranei alla tradizionale metodologia artistica (ambienti artificiosamente rielaborati, luci espressive, televisori visualizzanti), giungendo così ad una eterogenea pluralità di proposte operativo-percettive senza più rigorosa tendenza (transavanguardia, arte selvaggia).
Si tratta di una evenemenzialità dispersa, e dispersiva, che attraverso il criterio della Decostruzione (in arte, in architettura, e nella musica e altre consuete discipline della cultura storica) hanno voluto rappresentare quei due elementi fondametale della caratterizzazione odierna della post-modernità, costituite – come le ha riassunte il filosofo statunitense Ihab Hassan – nel neologismo Indetermanenza, composita integrazione delle terminologie Indeterminazione e Immanenza.
Due entità che si rapportano, rispettivamente, la prima alla Teoria dei Quanti di Werner Karl Heisenberg (cui deve aggiungersi la concezione matematico-fisica – ma anche filosofica – della caoticità quale sistema di avvenimenti non totalmente controllabili per la loro sfuggente o continuamente mutante dinamicità: che – in senso più allargato – corrisponderebbe, negli atteggiamenti umani della azione psicologica in generale, al divario estremo dalla più esasperata schizofrenia al maggiormente mite delirio, quali introspettivi criteri dissociativi della coscienza; e la seconda rimandante invece alla concretizzazione dei fenomeni quotidiani del pensiero non nel loro antico senso tradizionale – canonico-religioso e agostiniano – di opposto riferimento alla Trascendenza, bensì di banale configurazione immediata dei fatti riguardanti gli eventi umani nelle più varie pulsioni e interferenze del loro esistere, manifestarsi, e mutare.

Abbandonarsi al disordine per ritrovare un ordine

È dunque a questo “ordine” di idee (e di cose) che il lavoro “disordinato” della Grindatto inevitabilmente partecipa e appartiene nella sua complessità: nella indeterminata confusione si ricava un suo principio di necessità procedural-operativa che è la sostanza della propria qualità formante di espressione artistico-creativa, e che nell’ambiente spaziale della sua casa, e nell’atmosfera aperta del proprio giardino, per l’ultima sua mostra, l’autrice ha saputo trasmettere nella propria piena manifestazione. Ed ha voluto altrimenti commentare nelle parole stesse della recente sua monografia (pubblicata proprio quest’anno dalle edizioni Marcovalerio) secondo sue personali concezioni interpretative del mondo esteriore e della estensione culturale della propria personalità soggettiva di donna-artista, introspettiva e turbolenta nel suo procedurale “percorso tortuoso”: come altrimenti Tere ha dichiarato in una “intervista a se stessa”, sostenendo che «l’instabilità, la discontinuità, l’irregolarità […] rappresentano la trasformazione dello spirito», sottratto a quella illusoria staticità assoluta dell’esistenza che vive invece di un continuo divenire dinamico e sovrapposto di “disordine, ordine, e ancora disordine», in cui (ri)cercare di contenere quella “calma interiore” soltanto momentaneamente raggiunta, dalla quale «poi ricominciare» con ulteriore scorrimento creativo.

Corrado Gavinelli

 

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