31 Luglio 2020
L’abbaglio della Cina amica

Libri. In un recente saggio curato da Francesco Galietti una panoramica sull’effetto Covid in Italia e nel mondo
Nel pullulare di instant book post covid si trova davvero di tutto: diari, trattati medici, pamphlet infarciti di considerazioni filosofiche ed esistenziali, pillole (e vaccini) di saggezza per tutti i gusti e le sensibilità. In questo mare di carta c’è anche chi ha provato ad affrontare il problema dal punto di vista socio politico (ed economico-finanziario) internazionale. È il caso di “Contagio rosso. Perché l’Italia è diventata il cavallo di Troia della Cina Occidentale” curato da Francesco Galietti per Historica Edizioni.
Il libro raccoglie alcuni saggi di giornalisti, ricercatori e docenti universitari che approcciano il “fenomeno coronavirus” nel contesto delle complesse relazioni tra il gigante cinese e il resto del mondo, con un particolare sguardo a casa nostra. Emerge da più contributi, alcuni di carattere storico e altri con alla mano i più recenti dati acquisiti anche dai social, come l’opinione pubblica italiana sia stata pilotata verso un giudizio indulgente nei confronti della Cina. Giudizio convalidato da esponenti politici di spicco che hanno evitato di ricordare le sistematiche repressioni di Pechino nei confronti dei dissidenti politici e delle minoranze religiose.
A proposito dei nuovi scenari geopolitici, che vedono la Cina sgomitare per acquisire spazi sempre più ampi di potere e credibilità, Marco Lombardi, docente di sociologia comunicazione e crisi manegment presso l’Università Cattolica, non esita a parlare di “guerra ibrida” citando le parole di Papa Francesco che, già il 30 novembre 2014, nel viaggio di ritorno dalla Turchia (come sembrano lontani quei giorni!), aveva affermato: «sono convinto che noi stiamo vivendo una Terza guerra mondiale e pezzi, a capitoli, dappertutto». «La guerra senza regole – commenta Lombardi – fa ancora più paura, perché perde i limiti percepibili del controllo, politico e cognitivo, diventando un mostro capace di ingurgitare tutto: da un evento “spiacevole” ma regolabile, si tramuta in un evento incerto e non dominabile: una crisi». E aggiunge: «Il coronavirus ha finalmente reso possibile l’avvio della guerra batteriologica senza che nessuno se ne assumesse formalmente la responsabilità, ma dando a tutti la possibilità di godere i vantaggi di una nuova arma». Perché non ce ne siamo accorti? Perché «il primo che, in una situazione di incertezza, dunque di bisogno cognitivo, offre una definizione che fornisce significato, indipendentemente dal suo valore, riempie una lavagna vuota su cui, chi viene dopo, dovrà confrontarsi».
Alcuni dati, riportati da Luigi Curini (professore ordinario di scienze politiche all’Università di Milano), evidenziano come il processo di propaganda a favore del governo cinese (a partito unico, cioè quello comunista) abbia già portato i suoi frutti. Una ricerca dell’istituto demoscopico SWG pubblicata a metà aprile di quest’anno (ma in realtà condotta a fine marzo) rivela che «tra i paesi considerati “amici” dall’opinione pubblica italiana, la Cina svettava con il 52% dei consensi, con gli Stati Uniti solo al terzo posto (dopo la Russia) al 17%. Rispetto al 2019 il Dragone cinese ha registrato poi […] un impressionante guadagno del 42%».
Per la penetrazione cinese, secondo il giornalista Gabriele Carrer, «l’Italia oggi rappresenta il ventre molle d’Europa», nonché «uno dei laboratori della nuova fase della propaganda» che ha trovato il suo terreno più fertile nei social. Basti pensare che «il 46,3% dei post su Twitter pubblicati tra l’11 e il 23 marzo con l’hashtag #forzaCinaeItalia, cioè quasi la metà, è stata generata da bot, account automatizzati creati con il preciso scopo di fare da cassa di risonanza».
Dall’Africa ai Balcani
Se l’Italia rappresenta una delle frontiere, l’Africa già da tempo è terreno di conquista. Ne è certo l’analista Emanuele Rossi che spiega: «La Cina non è lì – in Libia o in Nordafrica – per creare quella cooperazione di paesi terzi di cui si parlava a gran voce quando Roma decise di aderire alla Belt and Road Initiative. La Bri, la Via della Seta, è un’infrastruttura geopolitica pensata per collegare la Cina all’Europa, secondo diverse direttive e con diverse articolazioni: ha spazi politici all’interno, ma è pensata dalla Cina per la Cina».
La facilità di penetrazione cinese in Africa per la storica Anna Bono è dovuta al fatto che Pechino non ponga «condizioni per concedere prestiti e finanziamenti […]. Quello dei diritti umani è un tasto imbarazzante per gli africani e la Cina si guarda bene dal toccarlo».
Altro fronte di “invasione” sono i Balcani. A raccontarlo è l’economista Laris Gaiser: «L’azione cinese nei Balcani e nell’Europa Centrale aveva tra gli scopi principali quello di conquistare l’Italia legandola alla proiezione imperiale sinica». Lo stesso rileva però che «Con il Covid19 la Cina potrebbe essere caduta in quella che potremmo definire la trappola di Chernobyl. L’approccio del regime ha danneggiato i propri cittadini, ostacolato la condivisione tempestiva delle informazioni a livello internazionale e attraverso la minimizzazione dell’evento ha esposto a inutili rischi milioni di vite umane tanto all’interno dei propri confini, quanto all’esterno. Le conseguenze di medio termine potrebbero essere esattamente simili a quelle che hanno portato alla caduta del regime sovietico, ovvero aumento del contenimento internazionale, crisi generale dell’impostazione economica, insoddisfazione generalizzata tra la popolazione nei confronti dei vertici politici e faide interne al Partito Comunista».
Il 5G e la Cina “post-comunista”
Il saggio di Luca Mainoldi, giornalista di Limes, rivela sospetti “antichi” su quello che in questi giorni è esploso come il “caso Huawei” che ha fatto infuriare i vertici del CCP. «Nell’aprile 2018 – scrive Mainoldi – il canadese David Vigneault ha avvertito che la costruzione di reti 5G da parte cinese in tutto il mondo stava dando origine a “nuovi rischi di spionaggio e interruzione i servizi essenziali”». E ricorda come, nell’emisfero australe, «il governo di Canberra è stato il primo ad adottare una posizione molto decisa nell’escludere Huawei dalla costruzione della rete 5G australiana».
A delineare un possibile scenario di ciò che sarà è, nell’ultimo saggio, l’economista Carlo Pelanda secondo il quale «la Cina potrebbe implodere con conseguenze devastanti sul piano dell’economia globale, anche se fosse parzialmente disconnessa». A suo avviso le democrazie dovrebbero produrre un «”prestatore illimitato di ultima istanza” in grado di «assorbire l’enorme fabbisogno di capitale necessario per rimettere in moto una Cina post- comunista in situazione di crisi».
Resta da capire se questa crisi sia già definitivamente deflagrata.
Patrizio Righero

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