8 Aprile 2013
La statua del generale Filippo Brignone

Intervista impossibile con un protagonista della storia pinerolese
Sono le prime ore del pomeriggio di una giornata di marzo, serena ma fredda. Tira vento e dappertutto volano cartacce e sacchetti di plastica, perché a Pinerolo c’è stato il mercato . Gli ultimi furgoni degli ambulanti se ne stanno andando, mentre arrivano gli addetti che devono pulire piazza Fontana. La statua del generale Filippo Brignone appare più isolata del solito, così abbozziamo un dialogo.
Generale, da quanto tempo si trova in questa piazza?
Da parecchio tempo. Se non ricordo male la mia statua, opera dello scultore Edoardo Tabacchi, è stata scoperta il 31 agosto del 1879.
E non le dà fastidio tutta questa confusione?
Si vede che non sei mai stato su un campo di battaglia ma per me, che nel 1855 sono partito per andare a combattere in Crimea, questi sono soltanto rumori insignificanti. Ti basta sapere che il corpo di spedizione piemontese era composto da 18 mila uomini, 36 cannoni e 4500 cavalli. Quello che mi dà veramente fastidio sono i colombi. Ce n’è uno che tutti i giorni si posa sul mio cappello e comincia a girare intorno. Mi fa venire un cerchio alla testa.
Il corpo di spedizione in Crimea lo comandava lei?
No, io all’epoca ero soltanto maggiore. Il comando supremo della spedizione era affidato ad Alfonso La Marmora, fratello di Alessandro che nel 1836 aveva fondato il corpo dei bersaglieri. Ero affetto da una pleurite acuta e quando il comandante La Marmora ha saputo della mia malattia è stato indeciso fino all’ultimo, sull’opportunità di mandarmi in un clima così ostile, ma il conte Cavour è stato irremovibile, ribadendo che la mia presenza era necessaria.
Che cosa ha portato con sé?
Niente di speciale. Oltre all’equipaggiamento di ordinanza, soltanto una coperta rossa, compagna inseparabile di tanti momenti felici, una carta geografica della Crimea e un taccuino dove ho annotato le impressioni e gli avvenimenti principali, che in seguito sono risultati molto utili.
Ci può fare un esempio?
Durante una campagna militare il nutrimento dei soldati ha la sua importanza. Così, per la cottura del rancio, ho pensato a dei fornelletti, di solito realizzati con mattoni e pietre ma, in caso di necessità, anche con zolle o terriccio. Con questo sistema, per far arrivare l’acqua a ebollizione, sono necessari 10 minuti e altri tre quarti d’ora ci vogliono per la cottura della pasta (o del riso) con i legumi. Per la distribuzione del rancio a un’intera compagnia ci vogliono altri venti minuti e in totale, tra cottura e distribuzione, si impiega un’ora e un quarto, che non è poi tanto. Se per il pasto è prevista anche la carne, l’intera operazione richiede un’ora e 50 minuti.
Per quale motivo siete andati a combattere tanto lontano, sopportando tutti questi disagi?
Perché la Russia voleva estendere il suo dominio in quella regione, ma Francia e Inghilterra si sono alleate con la Turchia per contrastare questo disegno. Cavour ha convinto il re Vittorio Emanuele II a entrare in questa coalizione per inserire il Piemonte nell’ambito delle potenze europee. In quelle circostanze il Conte fu subissato dalle critiche, ma poi si è scoperto che aveva ragione. Eh, aveva un cervello fine il Cavour.
Ci parli un po’ di lei …
Sono nato il 6 ottobre del 1812 a Bricherasio e a 17 anni mi sono arruolato, come soldato semplice, nella Brigata Savona. Con l’esercito, dopo la spedizione in Crimea, ho girato un po’ in tutta Italia. Pensa che dopo l’unificazione sono rimasto per quattro anni in Sicilia. Per me piemontese, faceva un po’ troppo caldo, ma è stata una esperienza interessante.
Anche suo padre era militare di carriera?
No, mio padre Giuseppe era medico condotto, ma io non ho voluto seguire la sua professione. Mio padre non ha accettato di buon grado questa mia scelta, ma poi si è ricreduto.
Generale, lei non si è mai sposato?
Sì, nel 1861, quando avevo 49 anni. Ho preso in moglie Teresa Bolla, una giovane di 17 anni educata in convento, di buoni costumi. Teresa mi ha dato due figli: Giacinto e Amedeo, che porta il nome del padrino Amedeo di Savoia.
Perché volta le spalle al Palazzo Comunale?
Boja fauss, adesso mi hai seccato con le tue domande impertinenti. Se non la smetti e non te ne vai subito ti faccio assaggiare la mia sciabola.
Il generale sembra davvero adirato e termino l’intervista allontanandomi prudentemente
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