Dalla seconda metà del quarantennio del Settecento il cosiddetto Palazzo Vittone (inizialmente Ospizio dei Catecumeni) è stata una istituzione pubblica che ha dato una delle più importanti testimonianze culturali architettoniche alla città di Pinerolo.
È un fatto triste constatarne – nonostante tutti gli egregi tentativi di conservarlo e di dargli una consistente importanza civica – l’attuale suo logoramento che in certe sue parti trascurate (soprattutto nel cortile) lo sta conducendo (senza opportuni interventi di ripristino) ad una deprecabile e irrimediabile rovina.
Non è di certo di buon effetto vedere, passando dalla strada accanto all’edificio, oltre il filo del suo muretto di cinta, la fastidiosa rottura plurima dei vetri nelle finestre più alte, dove intemperie e uccelli possono penetrare con grave danno dei vani interni; e neppure è piacevole sostare nella cortilatura dell’edificio per guardarne le forme e le strutture (che per altro, queste ultime, costituiscono un particolare metodo esecutivo del Vittone, unico del suo periodo, e re-impiegato poi più tecnicamente da Alessandro Antonelli) e rilevarne la desolante smembratura, oppure – ancora più grave – assistere allo sbriciolamento incredibile dei mattoni, riducentisi in polvere per il continuo assalto degli agenti climatici e dell’offensivo scavo progressivo attuato da passeri e piccioni che ne beccano le parti più deboli riducendole letteralmente in polvere.
Nel dovere pratico di riaggiustare quelle preoccupanti falle materiali, non si tratta soltanto di ottemperare ad una evidenza estetica non bella a guardarsi (che nella parte anteriore, in facciata – di maggiore impatto per la percezione pubblica dell’edificio – è stata provvidenzialmente ovviata con un recente intervento nel 2012: tuttavia progettato già da 18 anni prima, nel 1994, su disegni degli architetti torinesi Mario Federico Roggero e Sergio Santiano, professori al Politecnico di Torino; i quali però hanno prevista una protezione completa dell’organismo, di cui mancano purtroppo ancora le altre due fasi di completamento, non attuate), ma anche occorre arrestare un processo pericoloso di devastazione e degrado che nel tempo può condurre ad una pesante decadenza del palazzo.
Mi sono risolto a queste esternazioni critiche non soltanto per dispiacere personale di fronte ad un monumento cittadino storico che presenta seri segni di rovina, ma anche per scrupolo civico; spinto soprattutto da una dichiarazione esplicita, confidatami dal direttore del CeSMAP, Dario Seglie, quale mi ha scritto un breve ma conciso riassunto della situazione di decadimento di Palazzo Vittone.
«Per il CeSMAP – scrive Seglie – che attende da 25 anni il trasferimento definitivo al piano nobile e all’ultimo per finalmente esporre tutte le collezioni che giacciono in magazzini – ormai dal 1964 e seguenti, inattesa, fino ad oggi – i pochi anni nei quali fu eretta la fabbrica (sebbene rimproverati come ‘lentezza’ dal Duca di Savoia) fanno capire che il Progetto che l’Amministrazione del Sindaco Trombotto (con lungimiranza) aveva affidato a Mario F. Roggero e a Sergio Santiano del Poli TO, non hanno trovato rispondenza nelle Amministrazioni successive, compresa l’attuale. Dopo il primo lotto di restauri di 5 anni fa, per circa un milione di Euro, tutto è fermo e la devastazione del Palazzo Vittone è ripresa alla grande».
L’urgenza di interventi di restauro
Sembra incredibile che si possa assistere a tale condizione di lenta distruzione di una tra le maggiori architetture del tardo-barocco del Piemonte attuate da Bernardo Antonio Vittone, Regio Ingegnere e Architetto della Casa Savoia, ed esponente importante del rococò non soltanto italiano.
Perché il Palazzo in questione non è solamente una benemerita istituzione culturale di Pinerolo da ormai tanti anni (quasi 50) per le attività museali e di altro genere culturale, ma particolarmente per la propria storia istitutiva, che da vecchia di speciale ospitalità religiosa è diventato uno degli organismi civici di maggiore significatività operativa della vita sociale del luogo, per le diverse iniziative museografiche e pedagogiche.
Per quanto monumentalmente non eccelsa (a causa di quella sua severa conformazione edilizia rigida e compatta, anche alquanto sovradimensionata nei confronti del contesto, urbano e paesistico, pinerolese), la costruzione vittoniana (realizzata inizialmente tra 1741 e 1743 e completata nel 1744-46/47) è un egregio esempio della intermedia attività progettuale del suo ideatore nel settore della pubblica ospitalità del proprio tempo; avendo egli già attuato – o stava perseguendo – analoghi ospizi cittadini di simile tipologia e distribuzione spaziale: primo fra tutti il Collegio delle Provincie a Torino creato per giovani studenti universitari (1729-1736/37), l’Ospedale di Carità a Casale Monferrato (1740/41-49), l’Orfanatrofio Femminile a Chieri (1744-65), e l’Albergo di Carità a Carignano (1744-49/60).
Nel caso specifico della costruzione di Pinerolo, l’edificio venne inizialmente concepito come ricovero (esattamente, nel decreto di istituzione del 1679, “Rigugio de’ Catecumini”) per religionari valdesi convertitisi alla fede cattolica, e nel corso dei secoli ricevette sostanziali modifiche di destinazione d’uso, mantenendo comunque il suo aspetto architettonico-tipologico originario; che – sebbene non completato nella progettata forma quadrangolare chiusa, disposta su due cortili identici, separati da una parte divisoria ortogonale al perimetro laterale – riuscì ugualmente, con i suoi ampi spazi, all’assolvimento dei propri scopi preposti.
Divenne temporaneamente Collegio Regio dal 1773, quindi Residenza Municipale – con la Terza Occupazione Francese – dal 1794 al 1814; fu trasformato nel 1816 in Collegio Civico-Vescovile, ma presto (dal 1819) ritornò alla sua funzione originaria di Ospizio dei Catecumeni fino al 1859, quando divenne Scuola Normale Maschile (e poi Liceo Porporato dal 1862). Finché assunse il suo definitivo ruolo prevalente di sede museale ospitando il Museo Antropologico dal 1964, e poi accogliendo anche la Pinacoteca Cittadina (dal 1978).
E adesso resta in attesa del suo completamento conclusivo, che ovvierebbe anche agli odierni difetti di precarietà struttural-formale e di sospesa sua definizione spaziale.
Ad maiora
Non dobbiamo trascurare il destino di Palazzo Vittone, perché – è importante ricordarlo – questo specifico organismo edilizio (oggi amato e riconosciuto come un monumento essenziale della città) fu particolarmente caro anche al suo progettista, che lo volle inserire (anni dopo, nel 1756) integrativamente nel proprio grandioso progetto urbanistico composto per il Duomo Nuovo di Pinerolo – mai però realizzato – da costruirsi sulla attuale Piazza Vittorio Veneto nella sua metà di spazio rivolta al proprio settore meridionale.
In tale elaborato, l’architetto ducale ha tra l’altro tracciato la planimetria intera del proprio Ospizio pinerolese che intendeva realizzare, poi invece eseguita soltanto parzialmente nella sua definizione attuale, per la sola porzione anteriore e nella “manica” lunga centrale.
E così, a conclusione di questo mio storico (e di rivitalizzazione attuale) racconto di rimembranza cittadina, voglio chiudere l’appello di ripristino che comporta a Palazzo Vittone con la frase latina finale che Seglie ha apposto al suo accorato riassunto «Ad maiora, per aspera ad astra!» Positivissima incitazione speranzosa, dal suono fortemente augurale: «sempre fino al più elevato successo, anche tra le avversità!»
Corrado Gavinelli