27 Gennaio 2025
Il volto del male e l'importanza significante delle nostre scelte

Mi sono sempre chiesta che faccia avesse il male, il male assoluto, quello che opprime prima ancora di oscurare, quello che uccide la mente prima del corpo. Erroneamente, da ragazzina, avevo associato a esso Hitler con quei suoi occhi demoniaci che penetravano qualsiasi mia corazza mentale e puntellavano la mia anima, ovunque si trovasse, come la goccia della peggior tortura. Quel suo sguardo indagatore mi rubava il sonno. E io? Cosa avrei fatto se lo avessi conosciuto da giovane? Avrei potuto accompagnarlo al Bene, estirpando da lui ogni frustrazione, ogni senso di nullità e inutilità? Avrei potuto fare qualcosa per far sì che il corso della storia si evolvesse in modo diverso? Ovviamente, non saprò mai le risposte a queste domande ingenue da adolescente iper sensibile alla sofferenza umana, ma il suo sguardo continua a inquietarmi. Nonostante ciò, ogni anno, a gennaio, permetto a questa inquietudine di venirmi a trovare. Una specie di pena del contrappasso per il male commesso dalle generazioni passate. Perché il male, va rimediato. Anche se è troppo. Anche se non è il nostro.

In questo periodo, rileggo volentieri e con tenerezza il diario di Anne. Ne conservo gelosamente una vecchia edizione Oscar Mondadori del ‘72, con la prefazione di Natalia Ginzburg, elemosinata con la sapienza che solo i bambini sanno usare quando desiderano ardentemente qualcosa. Apparteneva a una di quelle zie che hanno plasmato i tuoi ricordi alimentari con lasagne e torte, ma che ora non ci sono più e guardarlo sulla libreria fa nascere in me un sorriso sempre nuovo. È un libro foderato con quella carta ruvida che si usava nei primi anni ‘90 per i libri di scuola. È verde come la speranza, perché anche la disperazione deve avere il suo colore curativo.
Ogni anno, da anni, a gennaio, cerco una risposta a quella mia inquietudine, leggendo e studiando il pensiero e la storia che hanno spianato la strada a quegli occhi caliginosi, “aniridi”, direi, che, da sempre, mi fanno riflettere sul male e sul suo modus operandi. È così che mi sono imbattuta in due libri molto particolari e interessanti che vado a presentarvi.
#3 Hitler. Mai prima di mezzogiorno, di Helga Schneider, Oligo Edizioni

Lontano sia dalla narrazione cinematografica, romanzata e sconvolgente, sia da quella puramente storiografica, asettica e analitica, questo libro ci parla dell’ultimo Hitler: l’autore di questo sterminio, visto dai più come il capo forte e potente di un regime disfunzionale e perverso, è ora ridotto a uno stato larvale e, tenuto in piedi solo dagli psicofarmaci, come ultimo atto codardo, che riflette pienamente la sua personalità indecifrabile, si toglie la vita con il cianuro, il veleno che fa morire in modo veloce e indolore (p. 110).
Helga Schneider racconta quegli anni di pura follia e ciò che li ha provocati, anni nei quali lei era solo una bambina, ma già aveva conosciuto la fame, la sporcizia e aveva «gli occhi infiammati dal fumo delle candele di paraffina». E lo fa con la semplicità chirurgica di chi ha conosciuto il male da vicino. Perché il male non è solo banale, è anche semplice e, come il potere, crea dipendenza.
#4 Indagine su Eichmann. Il boia nazista nel dopoguerra, nascosto per anni in Italia, di Fabio Galluccio, Oltre Edizioni

Quante volte si nasconde il male compiuto! Alle volte lo si fa per paura, altre volte per vergogna, altre ancora perché, usando le parole di Primo Levi, abbiamo “edificato una verità confortevole che ci consente di vivere in pace” (I sommersi e i salvati, Primo Levi). Non deve allora sconvolgere sapere che c’è stato un tempo nel quale gruppi di persone hanno deciso di nascondere Eichmann e gli altri gerarchi nazisti e ciò non è accaduto solo in Sud America, tramite la cosiddetta “Operazione Odessa”, ma anche in Italia, a Villa Minozzo, un piccolo paesino in provincia di Reggio Emilia. Indagine su Eichmann riporta alla memoria un evento poco conosciuto della storia e lo approfondisce. Ma l’importanza di questo libro è ancora più profonda: fa riflettere proprio su quel volto del male di cui parlavo all’inizio dell’articolo.
Perché il vero volto del male non è da ricercare in un uomo soltanto. Il volto del male lo si può trovare nell’essere umano nella sua totalità che, impregnato di quella perversa volontà di vendetta, nascosta sotto una fitta e inconscia coltre di disprezzo per l’altro a sé, sconosciuto, ne accetta la vana tentazione di potere e di onnipotenza che il male spaccia per giustizia. Ma la giustizia è una virtù, non una caratteristica umana che l’uomo può acquistare a proprio piacimento attraverso la manifestazione esterna dei propri disagi mentali.
Le nostre scelte hanno sempre un impatto significante su di noi e sugli altri, perché ci spingono ad agire e quell’azione compiuta plasma per sempre il presente e il futuro nostro e quello degli altri. Infatti, il risultato del presente e del futuro del mondo, di tutto il mondo, è la sommatoria delle scelte di tutti gli addendi umani viventi, nessuno escluso.
“Come riuscì un uomo simile a imporsi così rapidamente sulle élite al potere fino a trascinare la Germania in un azzardato progetto di dominazione europea incentrato su un terrificante e inaudito programma di genocidio? Come fece a impedire qualsiasi possibilità di negoziato in grado di metter fine al conflitto, per poi togliersi la vita solo quando il nemico giurato era ormai alle porte e il suo paese si trovava fisicamente e moralmente a pezzi?” (Hitler, Ian Kershaw)
Perché nessun uomo avrebbe potuto fare tutto questo da solo. E non lo avrebbe potuto fare neanche se fosse stato supportato da una sola parte della società del suo Secolo. Questa tragedia è accaduta a causa della piccola o grande complicità di tutti, sia di quelli che sapevano e non hanno fatto nulla per non farla accadere, sia di quelli che non sapevano ma non si sono mai posti domande; sia ancora di quelli che guardavano ma preferivano non capire cosa stesse succedendo, sia di quelli che, semplicemente, guardavano da un’altra parte, facendo finta di niente. Abnegazione cognitiva, la chiamerei. Perché il male fa male e, fino a quando non lo si riconosce, per la ragione non esiste e se qualcosa non esiste, non può far del male. E nessuno vuole soffrire. Il problema nasce nel momento in cui prendiamo consapevolezza di ciò che abbiamo permesso, sia con il nostro consenso sia con il nostro silenzioso assenso.
In Hitler. Mai prima di mezzogiorno, ho scoperto il caso del medico ebreo Eduard Bloch, il medico della famiglia Hitler che aiutò la madre di Adolf, Klara Pölzl, nella malattia che la portò alla morte. Leggendone la storia, mi vengono in mente gli episodi evangelici nei quali i demòni riconoscono Gesù: non è con una buona azione che ci ripuliamo la coscienza o pensiamo di aver pareggiato i conti con l’unico evento (o l’unica persona) che ha avuto cura di noi in passato e su cui non possiamo far ricadere la nostra devastante frustrazione. Anche questa questione, grazie a Dio, è una questione divina, non umana e come tutte le questioni divine sono un mistero. Il problema insoluto, e che forse non avrà mai una chiosa, è quello di chi osserva tutto ciò che è successo e ciò che ancora oggi succede nel mondo – perché come disse Primo Levi, “la peste si è spenta, ma l’infezione serpeggia” – e si domanda perché. Perché tutto questo male, questa indifferenza, questa compartecipazione attiva e/o passiva? Forse, aveva ragione Primo Levi quando scrisse: «considerate se questo è un uomo».
Ogni gennaio, consideriamo, allora, se questo è un uomo, che brutalizza e animalizza, che deumanizza e spersonalizza, che tortura e uccide l’altro a sé per una qualsiasi ragione razziale, sociale, di genere, di potere e di possesso, di supremazia e di vendetta.
E scegliamo consapevolmente chi vogliamo essere, sapendo che qualsiasi cosa decideremo di diventare, alla fine lo diventeremo e saremo il cambiamento che quella scelta porta necessariamente con sé.
Gam, ki eilech, b’gei tzalmavet,
Lo ira ra, ki ata imadi
Erica A. Gavazzi
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