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Attualità  

Il Giorno del Ricordo per non sfregiare la storia

Il Giorno del Ricordo per non sfregiare la storia

Le foibe e l’esodo Giuliano-Dalmata raccontati nel libro di memorie “Fogolèr. Storia di una famiglia istriana” di Grazia Del Treppo.

Dal 2005, il 10 febbraio si celebra il Giorno del Ricordo per le vittime delle foibe e in memoria dell’esodo giuliano-dalmata. Questa solennità civile è stata istituita dal Parlamento italiano nel 2004 tramite l’emanazione della l. 92/2004, ma quel tragico pezzo di storia italiana resta ancora poco conosciuto.

Le stragi sono stragi e, in quanto tali, sono sempre ingiuste e arbitrarie a prescindere dall’orientamento politico e da quale sia il loro scopo ultimo. Molte di esse possono essere raggruppate sotto uno stesso termine che le definisce e le specifica. I genocidi sono genocidi a prescindere dal soggetto “committente”.

La Convenzione per la prevenzione e repressione del delitto di genocidio del 9 dicembre del 1948 ha sancito che il genocidio «sia che venga commesso in tempo di pace sia che venga commesso in tempo di guerra, è un crimine di diritto internazionale» (art. 1), in parole povere, è un crimine contro l’umanità. Nel 1944, Raphael Lemkin, coniatore del termine, scrisse in “Axis rule in occupied Europe”: «Esso [il termine genocidio] è volto a significare un piano coordinato di diverse azioni finalizzate alla distruzione dei fondamenti essenziali della vita dei gruppi nazionali, con l’intento di annientare i gruppi stessi. Gli obiettivi di tale piano sarebbero la disintegrazione delle istituzioni politiche e sociali, della cultura, della lingua, dell’identità nazionale, della religione e dell’esistenza economica di gruppi nazionali e della distruzione della sicurezza, della libertà, della salute, della dignità e della vita privata dei singoli individui di tali gruppi» (p.79). Ecco perché la tragedia degli italiani istriani può essere definita “genocidio”: migliaia di civili innocenti sono stati barbaramente uccisi dai partigiani titini al solo scopo di annientare la popolazione italiana del confine orientale. Delle stragi fasciste e naziste se n’è discusso e se ne discute in abbondanza, come è giusto che sia, ma di quelle comuniste ancora troppo poco.

A più di ottant’anni dalla strage delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata, pochi libri sono stati pubblicati sull’argomento e ancor meno spazio è stato dato all’argomento nei programmi ministeriali di ogni grado scolastico. Tuttora, questo evento storico viene ridotto a una semplice questione territoriale e politicamente strumentalizzato. Quando l’uomo è imbarbarito da un’ideologia commette gli atti più ignominiosi su coloro che non considera più esseri umani, ma semplici “Stücke” (pezzi). Così come il Nazismo ha distrutto generazioni intere, anche il Comunismo, nelle sue varie declinazioni, ha ucciso milioni di persone con la stessa volontà distruttiva: come dimenticare, o sottostimare, le stragi nei gulag o quelle degli Khmer rossi in Cambogia?

Gli “ismi” sono sempre estremi e partono da una stessa radice comune: la frustrazione inconscia di quella volontà freudiana di onnipotenza che spinge l’essere umano a controllare l’intera realtà a sua disposizione; a livello politico, questa realtà è l’intero mondo e le persone che si oppongono a questa volontà di potenza sono solo pedine da distruggere. Ecco perché nascono diniego e idealizzazione a seguito di ogni strage compiuta in nome di un qualsivoglia nazionalismo.

Una saga famigliare

“Fogolèr. Storia di una famiglia istriana” di Grazia Del Treppo racconta un piccolo e personale spaccato di vita, nel quale il “fogolèr” riporta alla memoria quel profumo avvolgente di famiglia riunita attorno al fuoco, quando gli anziani raccontavano ancora storie ai limiti del leggendario e i bambini, entusiasti, ascoltavano quelle storie con maggior stupore e trepidazione di quanto oggi giochino a “Brawl Stars”.

Così ritroviamo personaggi straordinari come Zanetto Fatutto, che parla poco e lavora tanto, ama la lettura ed è oculato e parsimonioso; nonna Gigia, donna forte, temperante e positiva per natura, che, come Maria, custodisce il dolore nel silenzio del suo cuore o ancora zia Rosa, sublime cuoca e pasticcera che con i suoi piatti conquista il palato di tutti. Leggendo questo romanzo riscopriamo luoghi antichi e indimenticabili che hanno assunto un’importanza formativa anche nel passato collettivo che ognuno di noi condivide con l’altro, come la casa dei nonni che, nella sua luminosità, riflette la semplicità del vivere quotidiano dei nostri avi ai quali, anche nell’indigenza, non mancava mai nulla di essenziale oppure la piazzetta del villaggio, il luogo di ritrovo dei tempi andati, quando il gioco della settimana o quello delle cinque pietre erano i più gettonati dai bambini.  

Con geniale schiettezza e brillante semplicità, Grazia Del Treppo ci presenta la storia di una famiglia, umile e grata, che ha dovuto fare i conti con la Storia. “Fogolèr. Storia di una famiglia istriana” è un racconto ricco di quei profondi temi fondamentali che tessono l’esistenza umana di significati significanti, quali l’amicizia fedele di Gigia e Rosina che nessuno screzio può scalfire e l’innocente vivacità giovanile di Andrea con la sua brillante simpatia e travolgente generosità. Poi, last but not least, ci sono i racconti di quei “bei tempi” di Canfanaro, di quando la guerra e i giochi di potere non avevano ancora scalfito il benessere di tutti i suoi abitanti. E ancora, storie di incontri, di primi amori, di gioia e di dolore, di nascite, di morti ammazzati e di feste di paese.

E poi l’esodo, la paura, l’abbandono, la tristezza, la nostalgia per una terra che non si vedrà più.

Questo memoir è “il diario di Anne Frank” di una famiglia istriana costretta a lasciare i luoghi familiari nei quali era cresciuta e fuggire di città in città con la sola colpa di essere italiana. Una raccolta di ricordi commovente e luminosa, nel quale emerge una speranza nuova: anche se si estirpano le radici con brutalità e violenza, i polloni persistono e producono nuove piante forti e resistenti, così come succede con il Ficus quando viene estirpato con violenza dal terreno.

Erica Gavazzi

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