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Cultura  

“Il cantico delle ceneri”. La Sacra di San Michele tra storia e leggenda

“Il cantico delle ceneri”. La Sacra di San Michele tra storia e leggenda

Incontriamo Miriam Cuatto, classe 2000, originaria di Sant’Ambrogio di Torino, ai piedi del Monte Pirchiriano e della Sacra di San Michele. Laureata in Beni Culturali a Torino nel 2019 e in Storia dell’Arte Medievale a Siena nel 2024, fa parte del gruppo letterario Inkiostri e ha recentemente dato alle stampe, per i tipi di Graffio editore, il suo primo romanzo.

Vorresti riassumere la trama del tuo Cantico delle Ceneri?

La storia raccontata nel Cantico delle Ceneri si svolge tra il 1358 e il 1359, attorno alla Sacra di San Michele, nei boschi e nei villaggi raccolti ai suoi piedi. Sono due storie che si incrociano e si toccano, spesso senza saperlo, per poi confluire nell’ultimo atto, ovvero la terza parte del libro. Le due storie seguono le vicende di Artemisia e Clovis, due personaggi completamente opposti. L’una è una giovane donna di umile origine che si troverà a conoscere il mondo antico e misterioso delle Masche (volgarmente, diciamo che sono streghe). L’altro è un monaco francese, un talentuoso miniatore che da lontano giunge alla Sacra di San Michele in cerca di un baluardo di fede in un mondo sconvolto. Entrambi i protagonisti, come tutti gli altri personaggi, dovranno fare i conti con qualcosa di più potente di loro, un antico patto sepolto nell’oscurità dei boschi, che rischia di distruggere le glorie dell’abbazia e la sacra tradizione dei boschi.

Una medievista che racconta di Medioevo: come si approccia allo scrivere una storia ambientata in un contesto che si conosce, ma di cui si è anche consapevoli di non conoscere molte cose?

La ricostruzione storica, nel libro, è stata la base di tutto, prima ancora di voler dare una storia con elementi fantastici era mio desiderio dare un quadro, manzonianamente parlando, verosimile. Ho giocato in casa, scrivendo dell’epoca che ho studiato affrontando ambiti molto conosciuti, come ad esempio la vita in un’abbazia, ma anche poco testimoniati, come la quotidianità delle classi più umili. Ma conoscere bene l’epoca, il modo di agire e di pensare, liberandosi dai comuni pregiudizi, permette anche di tentare ricostruzioni che ben si inseriscono sia nel flusso del racconto sia nella Storia. Le licenze inevitabilmente ci sono, sopperiscono alla mancanza di informazioni, così come gli elementi fantastici con l’intenzione di dare al libro l’aspetto di una ricostruzione verosimile godibile, senza voler essere un trattato puntiglioso.

E d’altra parte, nella tua storia, rientra il soprannaturale: sia pagano (diciamo così in assenza di un termine più centrato), sia cristiano.

Il soprannaturale è il vero fulcro della storia, quel qualcosa di più potente, sia esso sotto la forma del Dio cristiano, delle antiche tradizioni della civiltà druidica, del sogno premonitore, della magia o del destino inevitabile. E nel soprannaturale si consumano l’incontro e scontro che muovono le vicende della storia, senza voler essere la stereotipata immagine di una Chiesa medioevale, oscurantista e persecutrice contro un tipo di religiosità antica e popolare. C’è sì il soprannaturale ma chi agisce nella storia è umano, su entrambi i fronti si trovano santi e peccatori. La sfera del religioso ha richiesto ampie ricerche, soprattutto per la parte “pagana” che si perde laddove storia e leggenda non hanno confini particolarmente netti.

Nel romanzo si legge dello “scontro” tra le due tradizioni, ma, mi pare, che la tesi di fondo (se di tesi si può parlare) sia che ci possa essere una via se non di commistione, almeno di reciproca comprensione.
Nel periodo in cui si svolge il romanzo, questa convivenza esiste da 360 anni circa, da quando fu sigillato questo accordo attorno al quale ruota la narrazione. Non c’è esattamente pace, c’è una tregua ben nascosta, della quale pochi sono a conoscenza, che viene infranta da un atto violento che distrugge la quiete. Rimando qui al titolo, alla parola “ceneri”, che accomuna i due mondi i quali viaggiano entrambi, e convergono, verso la propria fine, l’uno a completare l’altro. L’abbazia si trova a vivere fuori dal proprio tempo, in un contesto storico che non è più il proprio, ha un aspetto dorato e benestante ma sta lentamente marcendo; l’antico culto dei boschi è ridotto a pochissimi testimoni, la storia lo sta inghiottendo dopo secoli di dominio. Questi due mondi hanno conosciuto la prosperità insieme e conosceranno la decadenza insieme.
Come hai conciliato l’esigenza di mettere assieme un tema di folklore locale (le Masche appunto) con un respiro ed un indirizzo più ampio?

L’obiettivo primo di questo libro è raccontare non solo una storia, ma anche un luogo rimasto uguale a sé stesso nonostante i secoli. Desideravo un romanzo corale nel quale la gente che vive quelle stesse terre potesse riconoscersi: attraverso i luoghi che sono tutti reali, attraverso la lingua che ricalca il dialetto moderno, attraverso la leggenda delle Masche che tutti conoscono e attraverso l’immagine della Sacra di San Michele che vediamo ogni giorno affacciandoci dalla finestra. La val di Susa, la terra che è raccontata e che racconta questa storia è tutto questo, storia e leggenda insieme, inserita nella Storia con la S maiuscola. È venuto tutto abbastanza naturale, senza che il fantastico forzasse la storia o il contrario.
Mi sono trovata, tra l’altro, a costatare come la parte più strettamente storica relativa alla Sacra sia davvero poco conosciuta da chi ci vive direttamente sotto. Questo dato dona al romanzo anche una sfumatura “divulgativa”, pur sempre rimanendo una storia da leggere e raccontare
.

Giovanni Soppelsa

Guarda il video della presentazione al Salone del libro di Torino

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