2 febbraio 2015

Assaggi letterari. Nelle “Anime morte” una Russia gastronomica tutta da scoprire

«Nell’androne di una locanda della città di N., capoluogo di governatorato, entrò una graziosa piccola vettura a molle [la brička], di quelle in cui viaggiano gli scapoli: tenenti colonnelli a riposo, capitani in seconda, proprietari di campagna che possiedono un centinaio d’anime di contadini» – è l’inizio memorabile del romanzo di Nikolaj Gogol’. E propone subito tutti i suoi personaggi, e le locande, e quel rigonfio melone che è la vettura degli scapoli…
Sempre in viaggio, e sorpreso da un furioso temporale, il cocchiere Selifan perde la strada e s’inoltra al buio, per vie sconosciute, fino a raggiungere, a notte fonda, la tenuta della Korobocka, cui chiede alloggio. Comincia così, con un’avventura notturna, il viaggio per l’immensa Russia di Cicikov, il mercante di anime morte, cioè servi della gleba, contadini o artigiani da riscattare, facendoli passare come vivi agli occhi delle autorità, dalle quali poi ottenere terre in proprietà.
Grande fu lo scandalo all’apparire del romanzo di Gogol’, in realtà autore profondamente cristiano che intendeva contribuire al riscatto di un paese in nome della fede, un’ortodossia capace di raddrizzare torti ed eliminare ragioni finte e sbagliate.
“Anime morte”, dunque, è il titolo, e naturalmente il viaggio prevede molte tappe, traffici, osterie, ospitalità private.
Dalla Korobocka, per esempio, è notte: non si può preparare niente. L’indomani, però, «sarebbe davvero una bellezza», così riflette la vecchia proprietaria, «se venisse a comprare per governo la farina e il bestiame. Bisogna ingraziarselo un po’: un po’ di pasta da iersera è avanzata, così ora voglio dire a Fetinja che ci faccia qualche frittella. Sarebbe bene anche fargli una di quelle azzimelle imbottite all’uovo: le mie donne son tanto brave ad imbottirle, e anche di tempo ne pigliano poco…».
E mentre il viaggiatore escogita i modi della trattativa, ecco che compaiono sul tavolo funghi, pasticcini, frittelle, focaccette di pasta frolla con ripieni assortiti: «ripieno di cipolline, ripieno di semi di papavero, ripieno di latte cagliato, ripieno di pesce, e chi più ne ha più ne metta».
In casa di Sobákevic, un altro possidente, la tavola è già imbandita, quando arriva il “compratore” di anime, e propone «cavoli che oggi sono squisiti», tanto che subito il padron di casa, grande e grosso, enorme e ingombrante, come tutto ciò che è a Pietroburgo e dintorni, strade, palazzi, chiese, «si tirò giù dal piatto un enorme pezzo di bàlia, quella certa pietanza che si dà per contorno alla zuppa di cavoli, e che consiste in uno stomaco d’agnello infarcito di polentina, di cervello e di zampette. Una bàlia come questa voi non la trovate, in città: lì sa il diavolo che vi danno da mangiare».
Per discutere l’affare, passano in salotto, «e lì era già pronta in un piattino della marmellata, che non era di pere, non di prugne, e non di frutti silvestri, ma né l’ospite né il padrone di casa la toccarono».
Un ritmo gastronomico da poesia primordiale e definitiva, degna di Omero, epica, umile e piena di ironia.

Flok

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