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Cultura  

Colonizzatori piemontesi e pinerolesi del Sudafrica

Colonizzatori piemontesi e pinerolesi del Sudafrica

L’epopea storica della colonizzazione del Sudafrica da parte di emigrati europei si sviluppa per vari secoli, dalla seconda metà del Seicento fino agli inizi del Novecento, e poco oltre.
E nelle varie fasi di emigrazione si sono avvicendati, in periodi diversi, anche coloni provenienti dal Piemonte, soprattutto pinerolesi e valdostani, vercellesi e biellesi.
In particolare, alla conquista e occupazione – in genere pacifica, perché condotta non militarmente ma da gente contadina e artigiana in cerca di luoghi nuovi di possibile attività lavorativa e di sopravvivenza – hanno partecipato anche, in periodi diversi, vari gruppi di Valdesi provenienti dalla Val Pellice, originariamente rifugiatisi in Francia e Olanda in seguito alle persecuzioni religiose che hanno coinvolto ugonotti francesi e protestanti piemontesi (del pinerolese e dell’Alta Savoia).

I vini ugonotti
I primi stanziamenti degli ugonotti in territorio sudafricano sono avvenuti nell’area di Città del Capo dal 1652, quando l’esploratore e funzionario olandese Jan Anthoniszoon Van Riebeeck fondò uno scalo portuale (che poi diventò Capetown) come stazione di rifornimento per gli equipaggi delle navi di passaggio della Compagnia Olandese delle Indie Orientali. Tra i passeggeri di questa spedizione parecchi erano i lavoratori (operai, artigiani, e contadini) che furono imbarcati per organizzare una degna attestazione urbana nella località di sbarco; alcuni dei quali ottennero poi concessioni e permessi per inoltrarsi nell’entroterra più vicino, dove – in circa trent’anni – sistemarono egregiamente quel territorio incolto nel magnifico paesaggio viticolo che ancora oggi è riconosciuto come la Valle dei Vini.
Il primo raccolto vinicolo avvenne nel 1655, e introdotto proprio dal desiderio di Van Riebeck ad approvvigionarsi di alimenti prodotti localmente, ma risultò di scarsissima qualità; fu invece con l’arrivo dei profughi dalla Francia (non a caso la prima località dei vigneti, Franschoek, nella sua denominazione olandese significa Zona dei Francesi) nel 1688 che la produzione del vino migliorò consistentemente e ricevette varie diversificazioni di marche qualificate.
Dopo anni di sperimentazioni continue, nel 1778 il viticoltore Hendrik Cloete riuscì perfino ad ottenere il primo risultato competitivo nei confronti dei più rinomati vini europei, francesi e ungheresi, la cui fama si diffuse nel mondo civilizzato e raffinato (tanto che lo stesso Napoleone si faceva spedire regolari partite di bottiglie da Constantia, la capitale vinicola delle Winelands sudafricane).

 

Nelle terre degli Zulu
Un personaggio particolare tra questi colonizzatori piemontesi, è stata Teresa Viglione, coraggiosissima donna discendente dal primo gruppo valdese giunto in Sudafrica, ma spostatasi nelle terre più settentrionali del Natal (la regione di Johannesburg, durante la fase di dominio inglese), dove si distinse per la sua eroica impresa di essere riuscita a salvare parecchi insediamenti colonici dai guerrieri zulu, che erano entrati in conflitto con i contadini locali (Boeri). Il suo coraggioso gesto oggi è ricordato su un fregio, il Numero 15, a lei dedicato nel Monumento ai Voortrekker – i Pionieri – innalzato a Pretoria tra il 1937 ed il 1949 su disegni dell’architetto sudafricano Gerard Moerdyk.
Nel 1838, la donna (moglie di un commerciante italiano) mentre stava percorrendo con la sua carovana il territorio di Weenen, assistette a un massacro di bianchi nella località di Bloukrans; e così decise di prendere un cavallo e recarsi da sola ad avvertire del pericolo incombente gli altri stanziamenti colonici della zona, permettendo loro la difesa.
L’immagine della figura femminile della piemontese (che lo scultore del pannello, Frederick Christoffel – detto Frikkie – Kruger, scolpì nel 1947-48, su suoi disegni e calchi in gesso elaborati dal 1942), non fu però quella della donna reale (che nel frattempo era morta), bensì della modella dell’artista – anch’essa italiana – Lea Spanno, una lavoratrice nel settore chimico che viveva a Sunnyside vicino allo studio del suo ritrattista.
Ed a proposito di italianità sudafricana riferibile al grandioso edificio commemorativo della epopea dei Pionieri, molti sono stati anche gli Italiani che hanno partecipato alla sua esecuzione: dal suo costruttore (l’impresario Antonio Cosani), ai muratori, e ad alcuni scultori dei rilievi (tra cui il più rinomato è stato Renzo Vignali, artista e proprietario dell’unica fonderia d’arte nella nazione sudafricana, situata a Pretoria; ma non è da trascurare l’apporto del lapicida Aldo Lupini, autore dei calchi in cemento, e del fiorentino Ronamo Romanelli, esecutore delle grande figure tridimensionali).
Infine, sul fronte della costruzione sono nominate le famiglie dei Carleo (lavoratori nella industria meccanica), Gallo (impresari nelle costruzioni ferroviarie), Rossi, Beretta, e Lombardi (tutte di agricoltori): che hanno notevolmente “contribuito alla prosperità del Paese”.

Le ragazze di Avigliana
Inoltre, un «enorme contributo femminile allo sviluppo del Sud Africa» (come lo ha considerato Antonio Varalda, residente italiano a Johannesburg, dove tiene la sua attività professionale e di volontariato per la locale Comunità Piemontese e Italiana, e svolge il ruolo di Segretario del settimanale italiano su suolo sudafricano, “La Voce”) durante il decennio 1890-1900, è stato collettivamente sostenuto dal lavoro produttivo delle cosiddette “Ragazze di Avigliana”. Queste hanno fornito un esempio del «contributo dei piemontesi alla fabbricazione e all’uso della dinamite utilizzata nelle miniere d’oro» per la zona del Witwatersrand, lavorando alla preparazione specifica dei cartocci esplosivi (e per cui vennero popolarmente chiamate ‘le Cartucciere’) nella fabbrica a Leeuwfontein presso Pretoria.
La manodopera femminile aviglianese venne reclutata ad Avigliana perché in questa città – come ha spiegato lo storico sudafricano Ian Robinson in un suo saggio del 1981 – l’industriale Alfred Nobel (inventore della polvere da sparo a bassa iniezione che gestiva anche la produzione di esplosivi minerari in Sudafrica) aveva aperto nel 1872 una sua fabbrica, offrendo agli emigranti aviglianesi di trasferirsi nel continente nero con un salario migliore .
Questa partecipazione massiccia degli Aviglianesi è particolarmente praticata dal 1888 al 1895, proseguendo poi – con gestione interamente italiana (di cui restano noti i nomi dell’industriale Giuseppe Meano, e degli impresari Mario Norsa e Pietro Col; nonché dei costruttori Albino e Gentile Beretta) – fino al Novecento inoltrato: un periodo sul quale è stato anche girato, dal Varaldo prima citato, un apposito filmato nel 2007-08 (“un documentario di grande caratura storica che rende giustizia e onore al sacrificio e al valore dell’emigrazione piemontese nella grande Nazione Sudafricana”).

Il contributo di altri Piemontesi: Vercellesi e Biellesi
Cronologicamente prima delle “Fanciulle di Avigliana” viene la partecipazione italo-piemontese allo sviluppo del Sudafrica da parte di gente disparata provenuta dal vercellese e dal biellese; arrivati un decennio prima, dal 1880, non per una endogena necessità di emigrazione dall’Italia bensì come manodopera di fiducia per la realizzazione di grandi opere infrastrutturali e di accoglienza (strade e ferrovie, alberghi), la loro opera più importante si deve ritenere il Ponte sul Fiume Blyde a Pilgrim’s Rest; una località dal nome più che significativo (Sosta del Pellegrino), situata nella Provincia di Mpumalanga, nella regione del Transvaal, dove l’impresario sudafricano Jacobus Stephanus Joubert, allora Commissario alle Attività Minerarie divenuto poi Ministro delle Miniere, lo fece costruire per il più agile e veloce trasporto del prezioso minerale.
Il costruttore della imponente infrastruttura (tipicamente tardo-ottocentesca, ad ampi archi di solide pietre di dolerite locale, che doveva resistere alle impetuose correnti fluviali, eseguito nel 1896-97) risulta Giovanni Battista Giletti, che lo realizzò su progetto di Sytze Wierda, ingegnere e architetto governativo e capo dei lavori pubblici; ma all’opera contribuì attivamente anche l’impresario Celso Giri, tecnico esperto in strade e ferrovie che già aveva lavorato per la ZAR (la boera Repubblica del Sudafrica: e non per lo Zar di Russia, come certi storici hanno assurdamente equivocato).
Dal Novecento in poi è sempre più calato, in Sudafrica, il flusso migratorio italiano avvenuto quasi forzosamente per necessità di sopravvivenza all’estero in mancanza di risorse in patria. Ma ancora parecchi italiani, e piemontesi, si sono recati poi in quella nazione africana per aprire diversificate attività produttive, commerciali, e di lavoro professionale.

Corrado Gavinelli

 

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