Febbraio 2014

 

La cattedrale era nel medioevo metafora dell’ordine cosmico e politico, l’arte in chiesa, nel medioevo e nell’umanesimo della prima modernità, allegoria della presenza di Dio in mezzo agli uomini, Bibbia in figure per poveri e illetterati, mezzo visivo di comunicazione e catechesi, espressione del contesto liturgico-simbolico. Gli ordinamenti monastici e sacerdotali, il laicato possidente, devoto più o meno, erano committenti dell’arte cristiana, molte volte mecenati e collezionisti. Poiché da sempre l’arte che vale è innovativa, trasgressiva, “antipatica” nei confronti dei codici espressivi correnti, gli ecclesiastici che apprezzavano la portata catechistica del nuovo, stringevano un compromesso, talora chiudevano un occhio di fronte alla trasgressione dell’artista, ove la ricerca espressiva fosse organica al disegno evangelizzatore, all’ordine egemonico. Esemplare il mecenatismo del potente cardinale Francesco Maria Del Monte nei confronti di Caravaggio. Era il 600 Barocco, del braccio di ferro Riforma – Controriforma, la chiesa di Roma rispondeva alla parola biblica scatenata da Lutero con la catechesi delle figure, l’apoteosi dell’estetica cattolica. Dei codici Caravaggio era antagonista. Nell’arte e nella vita. Nell’arte, dipingeva con commosso, dolce realismo la Madonna dei pellegrini (Roma, chiesa di Sant’Agostino) con il bel volto intenso, le fattezze, i piedi nudi, le vesti dimesse di Lena, ragazza di vita sua amante, che nella Roma di allora conoscevano tutti; nella Morte della Vergine (Parigi, Louvre) alla madre di Gesù imprestava il corpo gonfio di una giovane popolana annegata nel Tevere. Nella vita, frequentava compagnie malfamate, era un rissaiolo pronto a menare la spada, a ferire. Del Monte vedeva come la storia della salvezza raccontata dalla pittura con i tratti del quotidiano, della vita vera del popolo fossero funzionali al disegno della chiesa, ed avvertiva il suo protetto: sta attento, se tu non fossi l’artista che sei, ti avrebbero già tagliato la testa.
Si può fare oggi arte nella sfera del sacro, ordinata al culto cristiano? E che senso ha esporre in chiesa arte profana in tempi secolarizzati, quando le orme del sacro sono smarrite? Un ordine sacro del reale oggi non c’è più, non è tempo di cattedrali, di papi, cardinali e laici mecenati e committenti di arte in chiesa. Il 900 all’armonia di derivazione classica che aveva fatto propri contenuti e ispirazioni del cristianesimo ha sostituito un’estetica in cui l’uomo interpreta una ricerca di senso “senza Dio”. Ma è così frammentato e smarrito il mondo che è sempre più difficile trovare unitarietà nelle varie espressioni artistiche. L’attenzione per l’arte contemporanea dell’ecclesiologia cattolica è passata in secondo piano. Le chiese nuove sono costruzioni squallide e, tranne rari casi, non c’è una seria progettazione architettonica. Il bilancio post-conciliare è sconfortante – dice Andrea Dall’Asta, gesuita, filosofo estetico, direttore della Galleria d’arte San Fedele di Milano – sono invalse scelte di carattere ideologico per cui l’edificio ecclesiastico sarebbe votato alla povertà. Il «rimaneggiamento delle chiese antiche in nome di un pur necessario adeguamento liturgico le ha spesso drammaticamente sfigurate. Pitture, sculture, vetrate si ispirano il più delle volte a un devozionismo che esprime un resto esangue di storia e simbologia del cristianesimo, pietistico, superficiale, in definitiva falso». Tuttavia non è scontato che debba essere così, ci sono esempi eccellenti in controtendenza. Se è vero che non si fa arte oggi che non scandagli i penetrali della psiche, nondimeno essa non va a segno, afferma Massimo Recalcati, psicanalista e psicologo dell’arte, se non nel “miracolo della forma”. Che consiste nel dar vita a un’estetica che non si limiti a coprire gli aspetti dell’esistenza che Freud definiva ripugnanti ma che sappia essere un indice enigmatico del reale. La storia l’arte ha senso quando accompagna ed emoziona l’uomo che cerca risposte all’enigma dell’essere, alle domande del suo spirito, della soggettività profonda. Quando sortisce questi esiti – rientri o no nella sfera del sacro, della fede, del simbolismo liturgico – l’arte del presente, credente o no che sia l’autore, sta e si fa guardare in chiesa con altrettale dignità dell’antica, la si faccia ancora con la pittura, figurale, concretista, astratta, o con qualsivoglia altri materiali, stante che oggi l’arte si avvale di tutti i media, “si fa con tutto”. Nel contemporaneo, post-cristiano e immanente, la teoria di artisti che si sono espressi con linguaggio profano che tocca l’ordine del sacro, tali cioè da figurare nello spazio di un tempio forse meglio che in una collezione pubblica o privata, è innumerevole. Una creazione che parla e interroga lo spirituale dell’uomo percorre, a far data dal periodo “romantico”, tutte le stagioni e i movimenti della ricerca artistica contemporanea: il simbolismo, le avanguardie storiche, le correnti della cosiddetta ricostruzione neo-plastica dell’universo e del ritorno alle origini, l’espressionismo astratto, l’informale, il “color field”, il minimale monocromatico fino a quel che c’è di valido nelle ultime tendenze. Sono schiere i grandi artisti con immaginario e cifrario profani che hanno avuto lungo la storia del contemporaneo dignità di locazione espositiva in chiesa. Ci limitiamo a dar conto di alcune opere di oggi ideate come elementi dello spazio sacro, liturgico-simbolico. La Cappella di Santa Maria degli Angeli, anfiteatro di calcestruzzo e porfido sulla roccia del monte Tanaro (Canton Ticino), è una splendida contaminazione linguistico-strutturale, l’incontro di nord e sud, montagna e mare nelle visioni spirituali dell’architetto svizzero Mario Botta e del pittore italiano Enzo Cucchi che ha dipinto l’abside di intenso azzurro e traslato in pittura nelle 22 formelle “mariane” sopra le finestre i pensieri del padre cappuccino Giovanni Pozzi, il tutto legato dalla musica di Paul Giger. Nel video “Emergence” (P. Getty Museum, Los Angeles) l’artista statunitense Bill Viola rappresenta il momento in cui Cristo esce dalle acque della Pasqua per incontrare la Chiesa, sua sposa, che si fa “uno” con il corpo di Cristo, è l’incontro degli amanti descritto nel “Cantico dei Cantici”. Le luci multicolori al neon del minimalista Dan Flavin, altro statunitense, diventano opera d’arte nella Chiesa Rossa di Santa Maria Annunciata di Milano, scandiscono un percorso simbolico: azzurro per la navata, rosso per la crociera, giallo per l’abside, il cammino di Cristo e dell’uomo nella sequela cristiana, il nascere, l’accettazione del rischio della croce, l’accedere alla resurrezione e alla gloria. Piero Guccione, il pittore siciliano cantore del “mare assoluto”, campisce di un tonalismo azzurro – nella scala cromatica l’azzurro è il colore della totalità, della profondità spaziale, del mare e del cielo – le Pale d’altare del Battistero di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri di Roma, offrendo un esito esemplare di inculturazione dei misteri di fede, del trascendente nel lessico astratto del kandinskyano “spirituale nell’arte” contemporaneo.

SERGIO TURTULICI

Nel video “Emergence” (P. Getty Museum, Los Angeles) l’artista statunitense Bill Viola rappresenta il momento in cui Cristo esce dalle acque della Pasqua per incontrare la Chiesa

Nel video “Emergence” (P. Getty Museum, Los Angeles) l’artista statunitense Bill Viola rappresenta il momento in cui Cristo esce dalle acque della Pasqua per incontrare la Chiesa