La data esatta del giorno natale di Gesù non è riportata dai Vangeli e la Chiesa, nei primi anni della sua esistenza, non lo celebrava. Solo nel IV secolo si decise di festeggiare il Natale di Gesù il 25 dicembre al fine di “sostituire” le feste pagane del solstizio. Per i pagani, infatti, il Sole, dopo essersi “indebolito” progressivamente, riprendeva vigore e i giorni si allungavano di nuovo. Inoltre, anche le celebrazioni del dio Mitra (divinità di origine iranica il cui culto era dilagato anche in Europa) cadevano nello stesso periodo. Gesù, la luce spirituale che “illumina ogno uomo”, prese il posto del Sol Invictus. Ecco spiegata la collocazione invernale di questa festa cristiana, mentre sarebbe realistico pensare che Gesù sia nato in primavera o in estate o al massimo all’inizio dell’autunno visto che, secondo gli evangelisti, le pecore erano lasciate all’aperto anche di notte dai pastori.
Tuttavia, alcune chiese orientali e la chiesa celtica festeggiavano il Natale un po’ più tardi, il 6 gennaio, per noi giorno dell’Epifania. La chiesa celtica si adeguò poi al 25 dicembre, ma ancor oggi in Scozia Epifania si dice “Old Christmas”.
I sacerdoti di Mitra la notte del 24 scendevano in strada gridando: “La Vergine ha partorito! Il Sole cresce!” La Vergine naturalmente non era la Madonna, ma una antica Dea Madre e il bambino era il dio solare.
Il culto del solstizio era anche vivo nella religione iranica di Zoroastro, mentre i Taoisti ancora oggi il 27 dicembre celebrano il Ta Chiu. Tutte queste feste sono caratterizzate da luci e fuochi che servono a “richiamare” il sole, così debole, e ad indurlo, con il principio del simile che attira il simile, a ritornare sulla terra. La stessa funzione che hanno oggi il ciocco acceso e le luci dell’albero di Natale.
Tra i popoli germanici e scandinavi il solstizio d’inverno si chiamava Yule o Yul. Yul deriverebbe dalla parola Hioul cioè ruota, con riferimento alla ruota solare. Questa almeno è l’ipotesi solstiziale, sostenuta dai fratelli Grimm. Secondo altri, Yul risale a Youl, termine norvegese che indica una pianta dedicata al dio Freyr, protettore della fertilità, ma anche alle divinità minori (elfi, ecc.). Questa tesi farebbe di Yul una festa legata alla terra e non al sole. Le feste indoeuropee si dividono infatti in due grosse categorie: quelle celesti, solari e talvolta lunari, e quelle della terra, legate ai raccolti e alla fecondità. Come si festeggiava? Con grandi banchetti. (In Scandinavia ancor oggi c’è la “birra di Natale”, prodotta apposta per l’occasione). L’ ubriachezza metteva in contatto con il mondo sciamanico legato ad Odino. Il cibo preferito era il maiale, ammazzato proprio in quel periodo. Da noi non era molto diverso: il maiale veniva ammazzato d’inverno e doveva servire per nutrirsi nei mesi freddi. Maiale, zampone e cotechino erano di solito i cibi delle feste in tutta la vecchia Europa agricola. Ma torniamo nel Nordeuropa. Le mele, simbolo di Frau Holla, dea della fertilità, adornavano gli alberi di Natale nella Germania medievale. Natale in svedese e in danese si dice ancora oggi Yul, mentre in area anglosassone ha prevalso il termine cristiano Christmas.
Nell’Inghilterra medievale sono nate alcune tipiche canzoni di Natale dette “carols”. Fino a pochi anni fa gruppi di cantori, adulti o ragazzi, andavano nelle case e cantavano canti natalizi, soprattutto uno “God rest you, merry gentlemen” (Dio vi dia la pace, allegri signori), che creava una atmosfera di letizia. In certe “carols” si parla anche dei vecchi simboli pagani, celti o sassoni, come l’agrifoglio. Esiste anche un componimento detto “Boar head carol” (carol della testa del cinghiale), che contiene un evidente riferimento al sacrificio del cinghiale tipico dei Celti (per i quali esso era un animale sacro). Ma anche alcuni tra i più famosi canti religiosi cristiani, come “Adeste fideles”, furono composti da inglesi.
In Inghilterra il Natale è molto sentito, mentre ha scarso rilievo il Capodanno. Un tempo erano invece importanti i 12 giorni tra Natale e l’Epifania (o meglio le dodici notti, perché il computo andava di notte in notte, retaggio celtico anche questo!). Poteva succedere di tutto in quelle notti magiche… La dodicesima notte era quella dell’Epifania che, tra l’altro, dà il nome ad una celebre commedia di Shakespeare.
Dal nord viene anche il tipico personaggio di Babbo Natale, figura complessa, in cui convergono molti elementi. L’ “Anziano dei Giorni” è una figura che compare già nella Cabala. L’ Anziano è un saggio, evoluto spiritualmente. Ma il riferimento più tipico di Babbo Natale è quello che lo riallaccia alla tradizione odinica. Odino andava a caccia volando nel cielo sopra un carro: era il mito della Caccia Selvaggia, diventato nel Medio Evo la Caccia Infernale. Il viaggio nel cielo è anche il viaggio degli sciamani tra le dimensioni dello spirito. Babbo Natale era all’inizio un vecchietto simile ad un elfo e vestito di verde come il Green Man degli Inglesi e l’Omo Salvatico dei popoli alpini. (Il vestito rosso arrivò più tardi, in America, quando il povero vecchino fu messo davanti all’ ingresso dei grandi magazzini a fare la pubblicità per la coca-cola…). Anche le renne, con le loro corna, richiamavano gli sciamani o il dio Cernumnos, il dio dalle corna di cervo, divinità celtica di antichissima origine. In seguito si sovrappose la figura di San Nicola, Nicolaus o Klaus, popolare soprattutto in Olanda. San Nicola, vescovo di Mira, città della Licia, una regione dell’Anatolia, aveva dato una dote ad alcune fanciulle povere affinché potessero maritarsi. Di qui la sua fama di generoso dispensatore di doni. Questa tradizione, esportata dai coloni olandesi in America, dilagò poi in tutto il mondo occidentale, mentre in Russia esiste un personaggio un po’ affine, Nonno Gelo.
L’albero di Natale deriva dall’ albero sacro, presente in tutte le religioni. In Piemonte alberi decorati, allestiti per il solstizio, esistevano già nei tempi pagani e nel Medio Evo vennero “cristianizzati”. Il primo presepe arrivò più tardi con S. Francesco d’Assisi.
In Piemonte, prima della cristianizzazione, e comunque fino al III sec.d.C., il solstizio d’inverno era festeggiato in onore del Sole e e di Mitra, dio “importato” dalle legioni romane. Lo attesta anche Giulio Cesare nel “De bello gallico”. Tracce archeologiche di questa festa le troviamo a Pollenzo, Susa, Ivrea, Benevagienna, Asti, ecc. Probabilmente le libagioni eccessive e la licenziosità connotavano questa festa. Qualche traccia di essa si è conservata dopo la cristianizzazione. Per esempio, in Val d’Aosta, Val Pellice e Valli Occitane si continuò ad agghindare gli alberi secondo la tradizione celtica.
Le usanze natalizie piemontesi sono piuttosto numerose. Nel Vercellese si traevano auspici tagliando una mela, mentre nel Torinese si versava una chiara d’uovo in un recipiente. A Torino fino a non molto tempo fa, al mercato di corso Racconigi, confine doganale della città, si abbellivano con ghirlande gli agnelli portati dai pastori e si consumava un dolce di ricotta (seriàs). Dopo la messa di mezzanotte, invece, i devoti si ristoravano con un vin brulé profumato di spezie.
Nel Monferrato c’era questa usanza: ogni famiglia andava in chiesa a mezzanotte lasciando socchiusa la finestra, così se la Sacra Famiglia passava di lì poteva entrare a riposarsi. Al ritorno, la famiglia disponeva i doni. Il bambino più piccolo aggiungeva al Presepio la statuina di Gesù Bambino. Le statuine, infatti, venivano aggiunte un po’ per volta: per primi pastori e artigiani, nei giorni successivi Maria e Giuseppe, a Natale il Bambino, il 6 gennaio i Magi.(In certe zone della Lombardia, invece,dopo la cena del 24, si lasciava la tavola apparecchiata per i morti della famiglia che ritornavano durante la notte per partecipare al Natale. Tale usanza è stata ricordata in un bel racconto di Giovannino Guareschi intitolato “Favola di Natale”).
I 12 giorni fino all’Epifania erano importanti anche in Piemonte e rappresentavano i mesi dell’anno in arrivo,anche al fine delle previsioni del tempo. (Il 26 era gennaio, il 27 febbraio ecc.). Nel Biellese si conservava l’olio dei lumi della messa di Natale. In provincia di Cuneo l’uomo più vecchio della famiglia a Natale accendeva una candela. Se la fiamma si piegava, il raccolto sarebbe stato abbondante. Vi erano anche canti natalizi, come i “nouvet”, rintracciabili in provincia di Torino e di Cuneo, nonché in Provenza, nella valle del Rodano e nella zona dell’Argentera. Molti furono raccolti nel 17° secolo. Ci sono poi le cosiddette pastorali o “pastorelle” simili alle “carols” inglesi, ai “Weihnachtslieder” tedeschi e alle “colinde” romene. Come nacquero tali canti? Si tenga presente che la tradizione della messa di mezzanotte risale al V secolo. Prima della messa si eseguivano musiche e canzoni all’inizio riservati al clero, poi anche ai laici. Questa è l’origine dei canti popolari natalizi. Nel Medio Evo in tutta Europa si facevano Sacre Rappresentazioni con il tema della Natività. C’erano anche intermezzi con canti e balli: anche così nacquero molti canti di questo genere.
Nello stesso ambito nacque anche il personaggio di Gelindo, personaggio tipico delle rappresentazioni teatrali popolari natalizie. Gelindo è il pastore piemontese, specialmente monferrino. Di solito si muove dal Monferrato per obbedire al decreto di Augusto, per via incrocia “ser” Giuseppe con Maria, e vorrebbe invitarli a casa sua, visto che hanno difficoltà a trovare alloggio, ma purtroppo casa sua è un po’ lontana… Nelle storie di questo tipo è da notare l’attualizzazione dell’episodio della Natività e lo spostamento spaziale-temporale o addirittura la commistione di elementi appartenenti a tempi e luoghi diversi. ( Tale approccio si trova anche in Provenza dove esistono canzoni che parlano della S. Famiglia che attraversa la Provenza inseguita dai soldati di Erode, riceve ospitalità dai contadini del luogo, ecc.). In Piemonte si diceva “A ven Gelindo” per dire viene Natale. Gelindo era anche messo nel Presepio tra i pastori.
Moltissimi sono anche i presepi viventi in Piemonte, specie in provincia di Torino. Tali rappresentazioni possono coinvolgere tutti gli abitanti di un paese o di una cittadina. Ne troviamo a Lanzo, Viù, Coazze, Mezzenile, Monastero e Villar Dora e, nell’eporediese, a Romano, Strambino, Samone e Candia.
Quasi universale in Europa era la credenza che durante la notte di Natale gli animali potessero parlare. In Piemonte ci si riferiva di solito a bovini e cavalli mentre in altri luoghi, per esempio nella Bergamasca, erano soprattutto i gatti a diventare…eloquenti e a manifestare talvolta capacità divinatorie, predicendo il futuro ai loro padroni.
Per concludere, citiamo una curiosità. All’inizio dell’Ottocento, vicino a Chivasso, sorse un paesino chiamato Betlemme. Non si sa il motivo per cui venne attribuito tale nome, forse esisteva una stalla con un bue e un asino e la gente la chiamava la capanna di Betlemme. Chissà! Comunque esiste una Betlemme anche da noi: auguriamoci che attiri angeli ed altri benevoli visitatori…
Luisa Paglieri