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Chiesa  

"Visita ad limina" per i vescovi del Piemonte

 

In occasione della Visita ad Limina dei Vescovi del Piemonte, l’AGD ha preparato un ampio approfondimento sui temi, la le radici e le prospettive della nostra Chiesa. 

I pastori del Piemonte andranno in due tempi: lunedì 6 maggio alle 11 l’arcivescovo di Torino mons. Cesare Nosiglia accompagnato dal vescovo ausiliare mons. Guido Fiandino, mons. Giacomo Lanzetti (Alba), mons. Franco Lovignana (Aosta), mons. Giuseppe Cavallotto (Cuneo e Fossano), mons. Luciano Pacomio (Mondovì), mons. Piergiorgio Debernardi (Pinerolo), mons. Giuseppe Guerrini (Saluzzo), mons. Alfonso Badini Confalonieri (Susa), mons. Guido Gallese (Alessandria). Venerdì 10 maggio alle 11 mons. Enrico Masseroni arcivescovo di Vercelli, mons. Gabriele Mana (Biella), mons. Alceste Catella (Casale Monferrato), mons. Franco Giulio Brambilla (Novara), mons. Pier Giorgio Micchiardi (Acqui Terme), mons. Francesco Ravinale (Asti), mons. Edoardo Aldo Cerrato (Ivrea).

San Pietro

Le sfide per la chiesa del Piemonte e della Valle d’Aosta

L’impegno sociale delle Chiese e la presenza pubblica dei laici credenti
Le Chiese locali stanno facendo molto per contenere i costi umani e sociali della crisi economica che da tempo colpisce i nostri territori, che si manifesta pesantemente soprattutto nelle zone di forte insediamento industriale. Ovunque la rete cattolica (parrocchie, Caritas, San Vincenzo, gruppi di volontariato, ecc.) è impegnata a sostenere le famiglie in difficoltà, ad aiutare gli immigrati, a attenuare il disagio dei giovani costretti ad una vita precaria, a combattere contro le nuove e le vecchie forme di povertà. L’impegno solidale e caritativo è certamente un tratto delle chiese locali, che coinvolge molti laici credenti e persone di buona volontà. Tuttavia, questo tipo di azione risulta debole o monca se non è accompagnata da un parallelo impegno del laicato cattolico in quei ruoli politici e istituzionali in cui si decidono maggiormente le sorti di un territorio. Ambiti questi, in cui la presenza cattolica è meno evidente rispetto al passato, anche per la carenza di gruppi di riflessione e di luoghi di formazione adatti allo scopo.
Occorre dunque ricreare le condizioni perché i cattolici tornino a offrire il loro specifico contributo in una società carente di leadership politica e istituzionale; riscoprendo l’idea che il bene comune si persegue anzitutto operando per il buon governo della società e per il rinnovamento delle istituzioni (scuola, università, aziende, enti pubblici, ricerca, sanità, comunicazione ecc.).

L’interesse per i temi religiosi e spirituali
Dal punto di vista religioso si osserva nelle nostre Regioni un fenomeno del tutto singolare. L’interesse e il dibattito sui temi religiosi e spirituali sembra più diffuso fuori dagli ambienti ecclesiali che dentro di essi. La società laica e i mass media fanno leva su questo interesse pubblico, sovente coniugandolo in modo pluralistico e senza troppa attenzione ai contenuti della proposta cristiana.
Tutto ciò ci dice da un lato che i temi religiosi e spirituali hanno piena cittadinanza anche nella società contemporanea, per cui la nostra epoca non sembra caratterizzarsi per l’incredulità della fede o dell’irrilevanza delle questioni religiose; e dall’altro, che gli ambienti e le figure cattoliche sono un po’ ai margini di questo processo di riflessione pubblica.
Come recuperare questo gap di comunicazione tra ciò che accade all’interno e all’esterno delle Chiese locali? Come far sì che nel dibattito pubblico si presti maggior attenzione alla novità della proposta cristiana? Come evitare che si guardi alla religione perlopiù in termini culturali, poco considerando la dimensione esperienziale della fede? Ecco altre sfide attuali per le Chiese locali.

La trasmissione della fede
La trasmissione della fede alle giovani generazioni è sempre più precaria, per lo scarso apporto delle famiglie in questo campo e per la diffusa ignoranza sulle questioni religiose che si registra nella società. Molti giovani si sentono distanti dalla chiesa, anche perché non incontrano nel loro cammino delle figure e delle esperienze significative in questo campo. Di qui l’urgenza che le Chiese locali operino un nuovo investimento nel campo della formazione e dell’animazione dei giovani, evitando di affidarsi soltanto al richiamo dei grandi eventi. Si tratta di ripensare il ruolo degli oratori, di rendere più dinamiche le scuole cattoliche, di far leva sulla capacità di animazione degli insegnanti di matrice cattolica che operano nelle scuole pubbliche, di rendere più fecondo e attraente l’associazionismo giovanile. Rispondendo così da un lato alla domanda di protagonismo dei giovani e dall’altro all’esigenza di offrire loro una formazione più armonica e arricchente.

Franco Garelli

 

 

Nos ad limina

Ci presentiamo a papa Francesco, noi vescovi di Piemonte e Valle d’Aosta, per una visita che è tutto meno che un rituale obbligato. C’è la «novità», e anche l’umana curiosità, di incontrare il successore di Pietro che, in queste prime settimane di pontificato, ha saputo offrire ai cristiani e al mondo intero quelli che sono i veri «segni» della giovinezza perenne della Chiesa. Ma la visita ad limina ha origini ben più antiche e motivazioni più profonde: la facilità attuale delle comunicazioni e dei viaggi non toglie nulla, e non rende banale, questa andata a Roma; essa è, in realtà, un ritorno alla Casa da cui tutti siamo partiti, la tomba di Pietro. Anche per questo, attraverso le pagine che pubblicano i giornali cattolici del Piemonte e Valle d’Aosta, vogliamo sottolineare e dare importanza a questo momento.
Portiamo al Papa la realtà di una Chiesa in cammino, che vive in un territorio attraversato da fortissime difficoltà economiche e sociali. La nostra gente, così come i tanti immigrati che vivono qui, sta pagando duramente il cambiamento del «modello di sviluppo» che si incrocia con la crisi economica globale. E però devo dire che mai come in questo tempo le nostre Chiese locali, le parrocchie, le comunità religiose, le aggregazioni testimoniano quanto sia viva e forte quella «carità» evangelica che, sulle orme dei santi sociali, ha sempre caratterizzato la presenza della Chiesa in questa terra.
A 50 anni dal Concilio le diocesi di Piemonte e Valle d’Aosta hanno reso più forte e concreto il legame che le unisce. Mentre dovremo conoscere meglio, discutere, affrontare le difficoltà che di questi tempi colpiscono le aggregazioni laicali, soprattutto quelle impegnate nella cultura e nell’animazione sociale, abbiamo un quadro più chiaro dell’impegno comune delle nostre diocesi nel campo della nuova evangelizzazione. Intorno a questa «sfida» è cresciuta una collaborazione sul terreno dell’iniziazione cristiana, dove le diocesi seguono ormai orientamenti che sono comuni perché maturati insieme – nello studio, nella preparazione, nel confronto tra vescovi, esperti, responsabili di catechesi e pastorale familiare dell’intera regione. Lavorare insieme intorno al Battesimo significa anche rinsaldare legami con la realtà delle famiglie, provarsi a rinnovare una fede che magari si conserva ma non si esprime più come un tempo. In parallelo alla pastorale battesimale c’è un impegno comune rivolto ai giovani, affinché scoprano le loro «vocazioni», cioè il senso profondo della vita, nella consacrazione come nel mondo. La preparazione della GMG, il Sinodo di Torino sono alcuni dei segni di un’attenzione permanente, sempre nell’ambito di questa «scommessa» essenziale: tornare a riproporre la libertà e la bellezza del Vangelo a quei popoli che, come il nostro, sono stati i primi a conoscerlo e testimoniarlo.

Cesare Nosiglia
Arcivescovo metropolita di Torino
Presidente della Conferenza episcopale piemontese

 

Che cosa è la visita ad limina
Il primo incontro tra Papa Francesco e l’episcopato piemontese, guidato dall’arcivescovo di Torino mons. Cesare Nosiglia, avverrà in due udienze lunedì 6 e venerdì 10 maggio. Occasione sarà la «visita ad limina Apostolorum» che, in questi mesi a cavallo tra il 2012 e il 2013, sta impegnando i vescovi delle 226 diocesi italiane.
Metà sono stati ricevuti da Benedetto XVI: l’ultimo gruppo il 16 febbraio fu quello della Lombardia. Poi Papa Benedetto il 28 febbraio ha terminato il pontificato e il 13 marzo è stato eletto Papa Francesco e l’11 aprile ha ripreso le udienze con i presuli della Toscana. I vescovi incontrano anche alcuni responsabili dei dicasteri vaticani e soprattutto vanno a pregare sul sepolcro dell’apostolo Pietro nella basilica vaticana e su quello di Paolo nella basilica di San Paolo fuori le mura. Un bilancio nazionale della «visita» dovrebbe essere tracciato dal Papa all’assemblea Cei del 20-24 maggio.
La «visita ad limina» è molto antica. La prima traccia è nella lettera di Paolo ai Galati: «Andai a Gerusalemme per consultare Cefa, e rimasi presso di lui quindici giorni» (1,8). Dal IV secolo le tracce si fanno più evidenti e più numerose. Prescrive il Codice canonico al canone 399: «Il vescovo diocesano è tenuto a presentare ogni cinque anni una relazione al Sommo Pontefice sullo stato della diocesi affidatagli» e il canone 400: «Il vescovo si rechi nell’Urbe per venerare i sepolcri degli apostoli Pietro e Paolo («ad limina Apostolorum», «limen, liminis» si traduce letteralmente con «soglia», n.d.r.) e si presenti al Romano Pontefice. Il vescovo adempia personalmente tale obbligo, se non è legittimamente impedito; in tal caso vi soddisfi tramite il coadiutore, se lo ha, o l’ausiliare, o tramite un sacerdote idoneo del suo presbiterio, che risieda nella sua diocesi».
Il 29 giugno 1988 la Congregazione dei vescovi pubblicò il «Direttorio per la visita “ad limina”» che articola la visita in tre momenti fondamentali: 1) pellegrinaggio e omaggio alle tombe dei principi degli apostoli; 2) incontro con il Papa; 3) contatti con i dicasteri della Curia romana. Il «Direttorio» sottolinea l’importanza della visita: «Rappresenta un momento centrale dell’esercizio del ministero pastorale del Papa: in tale visita, il Pastore supremo della Chiesa riceve i pastori delle Chiese particolari e tratta con essi questioni concernenti la loro missione ecclesiale». Allegate al «Direttorio» ci sono tre note, una teologica, una spirituale-pastorale, una storico-giuridica.

Pier Giuseppe Accornero

Lo sguardo dello storico

Non è facile indicare elementi che possano in qualche modo definire la Chiesa locale piemontese. Alcuni si possono desumere dalla storia, e fra questi un forte, anche se non dichiarato legame con la casa Savoia, pure dopo l’unità d’Italia. Poi una certa difficoltà ad accettare forme di associazionismo intransigente: la scarsa presenza nelle diocesi piemontesi dell’Opera dei congressi, a fine Ottocento, è significativa. Una certa resistenza in varie diocesi alla normalizzazione della Chiesa voluta dal fascismo, grazie alla presenza di un associazionismo operaio importante, con risvolti fortemente politici:è significativo il fatto che il Partito popolare e il suo leader Sturzo scelgano Torino per quel congresso nel 1923 che segnerà la rottura con il fascismo. E, in anni più recenti, la nascita della missione operaia e la presenza significativa di seminaristi e preti operai. Siamo però negli anni del cardinale Pellegrino, che fra le altre cose rompe un certo monopolio dei rapporti tra la Chiesa torinese e la dirigenza Fiat, per esempio nella scelta dei cappellani di fabbrica e nei grandi pellegrinaggi a Lourdes.

La forte  diminuzione di aspiranti al sacerdozio ha portato, dopo qualche resistenza locale, alla costituzione di seminari interdiocesani, che dovrebbero facilitare la collaborazione tra il clero delle diverse diocesi, dopo una storia strettamente legata e condizionata dalla diocesanità.

I rischi attuali sono gli stessi della Chiesa romana. Una certa tendenza a identificare la chiesa con la gerarchia: parlando del papa, si dirà che “la Chiesa” ha detto… e a parlando degli interventi dei vescovi si dirà la stessa frase, applicata alla Chiesa locale. Si tende cioè anche in Piemonte a centralizzare l’istituzione, a dare poco peso alla Chiesa locale in senso generale, composta da associazioni, volontariato, ecc. Cresce una certa forma di nuova clericalizzazione, e tra il clero giovane una fomra di liturgismo e appunto clericalismo che pareva superato dal Concilio Vaticano II. Ai termini conciliari “La Chiesa nel mondo” si rischia di sostituire “la Chiesa e il mondo”, quasi due entità contrapposte, e non la prassi del sale che dà gusto solo se scompare nel cibo. L’obiezione è logica: dobbiamo essere forti e visibili per contrapporci a una nuova forma di anticlericalismo diffuso. Forse è vero: ma non ci si rende forse conto che questo ha come conseguenza una forbice sempre crescente tra religione prescritta e religione vissuta. Cioè, tra una Chiesa che indica scelte e strade, e un popolo, anche quello dei credenti, che stima molto quanto la gerarchia dice, ma segue altre strade. Un rischio che venne messo bene in luce in Francia nel corso di un viaggio di Giovanni Paolo II, accolto e acclamato molto di più di quanto si fosse previsto. Ma qualcuno disse: la folla ama il cantante, ma se ne infischia delle sue canzoni. Forse la Chiesa piemontese nel suo insieme dovrebbe verificare se non stia succedendo la stessa cosa.

Maurilio Guasco

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