27 Giugno 2014
Verso una chiesa “samaritana”
27 giugno 2014
L’attualità della “Gaudium et spes” oggi. Come interpretarla e viverla in un contesto completamente diverso. Se ne è discusso in quel “pensatoio” di vescovi, sacerdoti, laici che è la Settimana nazionale di aggiornamento pastorale promossa dal Centro di Orientamento pastorale (Cop). La 64ª edizione si è svolta dal 23°al 26 giugno a Villa Lascaris di Pianezza. Molti gli spunti nati dal dibattito sintetizzati, come consuetudine, in una lettera aperta ai Vescovi italiani. «Poichè la “Guadium et Spes” ci obbliga a dialogare con il mondo – scrivono i partecipanti alla Settimana – ci sembra decisivo dare alla società il nostro contributo di laici cristiani: siamo consapevoli che ha bisogno dell’invenzione di nuovi spazi di solidarietà e di cura dei diritti e dei doveri, di sano abitare case e non loculi. Siamo convinti che occorra inventare nuove forme di vita comunitaria e non solo di stato o di società».
Se la società di oggi non è più quella del tempo del Concilio, neppure lo è più la Chiesa, come non è possibile ignorare l’impulso che Papa Francesco le sta dando nella prospettiva della “Gaudium et spes”, «perciò – evidenzia ancora la lettera – fare i conti con l’Evangelii Gaudium è stato naturale e ci ha rinnovato la gioia dei tempi del Concilio. Papa Francesco sta tracciando per la Chiesa un percorso entusiasmante e impegnativo per rispondere al bisogno di Dio che oggi c’è nel mondo: il suo amore per l’umanità e la Chiesa richiama quella tensione conciliare che fu ben interpretata dalla passione di Paolo VI». Lo ha sintetizzato bene Matteo Maria Zuppi, vescovo ausiliare di Roma, quando ha detto che «Papa Francesco, con la “Evangelii gaudium”, ci rimette nelle mani la stagione della “Gaudium et spes”, e di essa in modo particolare quando enuncia una Chiesa solidale con le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini, soprattutto dei poveri e di tutti coloro che soffrono». Nel tratteggiare la Chiesa “samaritana”, monsignor Zuppi ha sostenuto che «L’uscire di Francesco non vuole dare lezioni ma scoprire la presenza di Dio nascosta negli uomini». E questo per il Vescovo è un frutto maturo del Concilio: «l’incontro con il prossimo è un imprevisto affascinante, non solo un imperativo morale». Il suggerimento è quindi quello di entrare nelle periferie dell’esistenza dove la Chiesa «deve chiedersi quali sono oggi, i banditi della parabola del buon samaritano, che hanno relegato l’uomo in queste periferie».
Inevitabile il riferimento “da Benedetto XVI a Francesco” letto come «una continuità e un andare sempre più in profondità: il primo ha invitato i credenti ad abitare i deserti spirituali il suo successore sprona ad abitare le periferie dell’esistenza». Usando una espressione di Paolo VI, monsignor Zuppi, ha quindi invitato: «dobbiamo essere cultori dell’uomo. Una Chiesa samaritana è una Chiesa madre». Anche perché quello di una Chiesa samaritana «è il tempo opportuno che stiamo vivendo, un tempo bellissimo per riprendere lo spirito del Concilio e far sentire nostro tutto ciò che è umano, come recita l’inizio della “Gaudium et spes”».
Gioia, missione, azione, fiducia sono i quattro «elementi nuovi del gioco» declinabili, secondo monsignor Domenico Sigalini, presidente Cop e vescovo di Palestrina, in quattro immagini. La prima è che il tempo è superiore allo spazio, «c’è una domanda di infinito che non si può tralasciare». Poi che l’unità prevale sul conflitto, «occorre abitare anche la distanza, perché mette in crisi il mito dell’autonomia, il tribalismo». La realtà è più importante dell’idea, «non possiamo trasformare la Chiesa in un salotto dove si leggono i segni dei tempi, ma non si impara mai a scriverli». Infine che il tutto è superiore alla parte, «la bellezza ingannatrice non deve soppiantare la capacità del poliedro di far vedere tante facce originali, ma collegate in unità». Il lavoro della Chiesa è creare comunità. Se la società «è una giungla e lo stare insieme è finalizzato all’imbroglio, al sopruso, sia maledetto chi lo compie. La mafia è scomunicata proprio per questo». Mentre per monsignor Ignazio Sanna, arcivescovo di Oristano, i cinque i verbi centrali sono «uscire, predicare, abitare, denunciare e trasfigurare», cinque azioni che traducono «nella nostra vita lo stile umano di Gesù».
Da vivere in un contesto “secolarizzato”, come ha evidenziato il teologo Roberto Repole, che «potrebbe essere una grazia per la Chiesa abitare, per riscoprire che non ci è chiesto di occuparci di tutto, ma di ciò che non è possibile ad altri, ovvero della “communio”, la comunione universale, unico tesoro che solo la Chiesa può offrire».
Qualche suggerimento d’ora in avanti da parte del presidente del Cop: operare l’annuncio con un atteggiamento narrativo, elaborare una sintesi che riconosce il messaggio autentico del Vangelo dentro l’incontro. Declinare la continuità della Chiesa attraverso gli ultimi tre Papi. «Tre verbi esprimono – ha concluso Sigalini – l’unica roccia su cui fondarci: vedere (Giovanni Paolo II), ascoltare (Benedetto XVI), toccare (Francesco)».
Chiara Genisio (AGD)
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