6 Aprile 2013
Non essere incredulo, ma credente
Commento alla Parola della II Domenica di Pasqua, a cura di Carmela Pietrarossa.
“Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente” (Gv 20, 19-31).
La sera di Pasqua Gesù appare ai suoi discepoli, tramortiti dal dolore e dalla paura, a tal punto da restare chiusi in un luogo per timore dei Giudei, e porta loro il dono della Pace.
Gesù ora è con il Padre, lo ama e vive la pienezza della gioia e della pace derivanti da questa unione, doni che si compiace di partecipare a quanti credono in Lui.
Il credente è, pertanto, pienamente inserito nella circolarità dell’amore trinitario da cui può attingere a piene mani vita nuova grazie alla passione, morte e risurrezione di Gesù. Egli danza con la Trinità il canto dell’amore che essa da sempre ha nei confronti dell’umanità.
Gesù, dunque, ridona vita ai suoi discepoli; gli avvenimenti della passione, infatti, avevano ferito la loro sensibilità, scolpendosi indelebilmente nelle loro menti e provocando, pertanto, reazioni di turbamento, incertezza, timore di aver sbagliato tutto fidandosi di un crocifisso. La morte di Gesù sembrava aver sepolto non solo il corpo del Maestro, ma con Lui anche l’entusiasmo che aveva accompagnato i giorni della predicazione e la gioia dei momenti trascorsi insieme nella co
ndivisione della ferialità.
In questo contesto Gesù appare loro, mostrando le mani ed il fianco, e li invia per la missione: la risurrezione non ha cancellato i segni dei chiodi, che rimarranno per sempre; sono i segni tangibili del suo amore per ciascuno di noi, la cui identità e paternità riconducono solo al Maestro. E’ proprio Lui!
Tommaso non è presente e dubita della veridicità di quanto i compagni gli riferiscono.
E’ un uomo libero che desidera verificare personalmente l’affidabilità della Persona a cui “pensava” di aver consegnato la vita!
E Gesù non si fa aspettare, dopo otto giorni appare nuovamente ai suoi, questa volta c’era anche Tommaso: “Non essere incredulo, ma credente!”. “Mio Signore e mio Dio!”: è la più bella professione di fede presente nel Vangelo, riservata nell’Antico Testamento a Yahveh, Signore e Dio. E’ la fede provata, ma non spenta dal fuoco, anzi spronata dalle medesime difficoltà a diventare fede matura, fede di chi non crede per sentito dire, ma perché ha visto nella propria vita i segni dell’amore di Dio, fede che cresce nella misura in cui si apre ad accogliere ogni giorno la novità della presenza di Dio nella semplicità degli avvenimenti e dei gesti di chi ci cammina accanto, fede incarnata nella storia per dare oggi un volto a Gesù morto e risorto.
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