22 Dicembre 2014
Una culla, una croce, una tomba vuota
22 dicembre 2014
Repubblica Democratica del Congo. Gli auguri di don Giovanni Piumatti dalla missione di Muhanga
È grande lo spazio che il Natale occupa nella nostra cultura.
Un insieme di valori, autentici ancora oggi.
Sentimenti e affetti, festa e gioia, scambio di doni in un’atmosfera di attese, il tutto legato al Bambino Gesù: i bambini sono al centro e noi ritorniamo volentieri ai ricordi di quand’eravamo bambini.
Una religiosità che fa parte dell’uomo, ed il Messaggio che sta alla base della nostra fede. A volte piccola fede, ma fede.
Quanta gente ci ha provato: ad annacquarlo, a trarne profitto, deformarlo, per poi sloggiarlo e rimpiazzarlo; non ce l’ha fatta! Non ce l’han fatta le rivoluzioni francesi, e neppure le ideologie laiciste, e non ce la faranno le attuali dittature dei modelli fatui.
Natale è Natale.
Al centro c’è una culla. Il contorno la notte e le stelle.
Sì, le stelle che brillano nel buio della notte ne fan parte.
Una culla, una croce, una tomba vuota. Tre messaggi alla base del nostro credere.
La culla
Gesù bimbo nasce in Palestina: Dio ha scelto di mettersi nei nostri panni: un’avventura d’una trentina d’anni circa. Scelta di Dio.
La croce
Dio non l’ha scelta, Gesù non ha voluto la croce. Sono gli uomini che l’hanno voluta e gliel’hanno schiacciata sulle spalle. Lui avendo scelto di vivere fino in fondo come uomo, ha subìto ed accettato quel che gli uomini schiacciano sulle spalle dei loro simili. Dio rispetta fin là la nostra libertà; ed è il mistero che noi non riusciamo a digerire.
La tomba vuota
È la sorpresa finale. Quel che il Padre ci ha preparato non è la morte, ma la vita; la chiave di tutto: stella che luccica anche nella nerissima notte africana. Questa teologia la capiscono tutti, anche Safi, Katembo e Cesarina nella foresta d’Africa. La capisce anche un bimbo della scuola elementare libera, se ha la fortuna di trovare un maestrina che glielo racconti.
Natale è questo
La croce è diventata l’emblema dei cristiani, racchiude il Mistero profondo. Nel corso dei secoli ne abbiam fatto preziose opere d’arte ed anche gingilli; sappiamo ch’è stata issata davanti alle colonne armate dei crociati, era in testa alle invasioni in America, e c’è pure chi la usa per dar forza alla propria idea di partito; il che non fa che confermare quanto sia « opera dell’uomo », manufatto umano.
La culla no: quella è opera di Dio: paglia naturale non ancora ritoccata, e quei pannolini li hanno fatti i poveri che sono entrati nella logica di Dio.
Mi piace pensare che quella nascita a Betlemme Dio l’ha programmata, l’ha voluta: fu una scelta Sua.
Qui a Muhanga, la sera dopo cena mi basta aprire la porta e mi trovo in cortile, circondato da un silenzio immenso, se c’è la luna sento le voci del villaggio, non disturbano e non distraggono; percepisco l’immensità della foresta che mi circonda. Alzo gli occhi e vedo la cupola nera dell’universo, la via lattea e milioni di stelle sparse. Tutto il resto posso solo immaginarlo, facendomi aiutare dalle poche conoscenze scientifiche che ho anch’io. Distanze di anni luce, soli e pianeti, nebulose, altri mondi: un ordine da capogiro, al punto che i nostri scienziati riescono a spedire su un marchingegno e lo inseriscono seguendo leggi precisissime che ormai conoscono.
Big bang, acqua, reazioni chimiche, combinazioni: belle parole, ma non sufficienti.
Non riesco a pensare troppo perché mi si crea un vuoto fastidioso in testa e nello stomaco.
Ma alla fine mi dico «proprio Lui, Lui che ha fatto e fa tutto queste cose, decide di nascere come me, piccolo uomo, e viene su questo granello di terra, per stare con noi una trentina d’anni». Natale è questo! Tutte le teologie sono arrivate dopo; ma Natale è sostanzialmente questo! Vivere come noi.
Matteo, Luca, Marco e Giovanni ci hanno abituati male. Dopo Betlemme, loro passano subito alla predicazione, ai miracoli, alla croce e risurrezione. Perché tanta fretta ?
Ha cominciato nella culla, ma poi non c’è stato dentro più di tanto; ha voluto una casetta, la famiglia, il villaggio, la piazza, gli amici.
Lui è venuto per quelli: ha voluto provare tutto quel che proviamo noi uomini, donne, giovani, nei nostri 30; 50; 70 anni che viviamo qua.
Prima di arrivare agli ultimi 3 anni, che son stati sì molto speciali, Lui ha scelto di vivere quei 30 anni come me a Muhanga, te a Pinerolo, un giovane in Cina, una ragazza in India. Forse anche Lui voleva vivere qualche anno di più, se i suoi coetanei glielo avessero permesso.
Una scelta tutta sul positivo, non solo stare con noi, ma più ancora vivere come noi.
Per me Natale è tutto quest’insieme. Meraviglioso.
È bella una porta che si apre!
Quella fu una scelta di Dio. Opera tutta sua.
I dettagli son già il frutto dell’intervento degli uomini: perché a Betlemme e non a Cafarnao? Perché in un riparo per pecore e pastori e non in una casetta più confortevole? Perché i pastori e non un responsabile della legge, o un esperto delle profezie, un sacerdote? Gli uomini ci han già messo dentro il loro dito, qualche volta in sintonia con Lui, altre volte no.
E negativo fu quasi tutto l’insieme di quell’ accoglienza.
«Maria lo depose in una mangiatoia,… perché non c’era posto per loro ».
«… venne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto ».
E non fu perché lo hanno messo sulla paglia e in una mangiatoia.
Come è stato per tanti della mia età, io ricordo con nostalgia la paglia della stalla dove abitavano i miei nonni. Era addirittura una festa passare qualche fredda notte d’inverno nel tepore della stalla.
La paglia, la stalla, gli odori non furono un problema. Il problema fu molto più grave: a Betlemme quei due trovarono le porte chiuse.
Resterebbe puro folklore farci su una bella predica, raccontare, emozionarci, scandalizzarci se poi … tutto come prima, tutto come fanno tutti. Sarebbe ancora la medesima Betlemme, chiusa, sorda, distratta.
Betlemme, un nome dolce che sa di poesia, piccolo villaggio scelto da Dio, un paesetto di brava gente; oggi con la basilica della natività contesa da tutti quelli che vogliono avere Gesù con sé; brava gente, ma … non ha trovato un posto per Maria, Giuseppe ed il bimbo.
Un altro dettaglio, umano anche questo: quando si rifugiò in Africa, e precisamente in Egitto, non risulta che ebbe problemi particolari, c’è rimasto finché ha voluto, ritornò a casa solo quando han cambiato governo: Erode morì.
Cesare a Roma, Erode a Gerusalemme, le strutture di Betlemme, le leggi per una convivenza ordinata, le autorità religiose e i pastori.
Tutti hanno sbagliato: Erode, il tempio e le leggi, ed ovviamente quelli che si son sentiti legati a quelle leggi, eccetto i pastori! quel gruppetto che ha avuto il coraggio di gestirsi la propria piccola libertà.
Non è il caso di aspettare che Cesare Augusto decida o che muoia Erode.
Non c’è bisogno di togliere le candeline, o rifiutare un pranzetto tra amici, od eliminare drasticamente i piccoli doni in famiglia.
A Natale c’è spazio per tutto: sentimenti e gioie, gesti responsabili e coraggiosi; certamente a Lampedusa, a Bruxelles, a Roma, a Pinerolo, ma non meno in parrocchia ed in famiglia. È bella una porta che si apre !
Altrimenti è sempre la stessa ed eterna Betlemme.
Buon Natale.
Padiri G.
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