16 Novembre 2022
Tutela dei minori: da una fiducia acritica a una vigilanza solidale. Intervista a don Gottfried Ugolini
Gottfried Ugolini, sacerdote e psicologo, è coordinatore del Servizio interdiocesano del Triveneto per la prevenzione e la tutela dei minori da abusi sessuali e da altre forme di violenza. Lo scorso 15 ottobre, in occasione della “II Giornata nazionale di preghiera per le vittime e i sopravvissuti agli abusi, per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili” (18 novembre), è stato a Pinerolo per un momento di riflessione e formazione rivolta a presbiteri e diaconi.
Lo abbiamo interpellato su alcune questioni particolarmente complesse.
Quanto è esteso in Italia il fenomeno degli abusi sui minori da parte di sacerdoti, diaconi, religiosi e operatori pastorali?
Attualmente in Italia mancano dati concreti seppure ogni tanto emergano notizie su abusi perpetuati su minori in ambiente ecclesiali e altri. Per quanto riguarda la situazione della Chiesa cattolica a livello internazionale, secondo le ricerche eseguite, il 4 % del clero ha perpetrato abusi su minori. La percentuale è superiore alla media generale. Sembra che nella cultura italiana il fenomeno sia oscurato dall’omertà, dalla salvaguardia dell’istituzione e dalla cultura del clericalismo. (1)
In passato si è scelto di “coprire” gli abusatori in modo da non creare scandalo. Da qualche anno a questa parte la chiesa ha intrapreso la strada della trasparenza e della vicinanza agli abusati. A che punto siamo in questo processo di cambiamento?
Con le nuove Linee guida per la tutela dei minori della CEI del 2019 le persone vittime di abusi e sopravvissute agli abusi sono state finalmente messo al centro dell’attenzione. Contemporaneamente è partita una sensibilizzazione per prendere atto della realtà degli abusi, assumere la responsabilità, promuovere trasparenza in tutte procedure concernenti le persone coinvolte e gli ambienti dell’abuso e, infine, rendere conto dei responsabili a tutti i livelli. È un processo molto lento che richiede un cambiamento radicale di cultura.
Che cosa succede nella mente e nel cuore di una “persona di chiesa” (uso questa locuzione per indicare tutti coloro che, in vari modi e con diversi ruoli, operano nella pastorale o all’interno di istituzioni ecclesiali) nel momento in cui perpetra un abuso? Come vive lo scarto tra la sua prassi – il peccato – e il Vangelo con cui ha certamente familiarità?
Sappiamo che la maggior parte delle persone di chiesa che abusano sono persone che svolgono il loro ministero con bravura. Allo stesso tempo sono capaci di instaurare relazioni dove abusano del potere loro conferito e della loro autorità. Da questa base partono tutte le altre forme di abuso: quello spirituale, fisico, psicologico, e quello sessuale. L’immaturità psico-affettiva, la confusione circa l’orientamento e l’identità sessuale, una scarsa capacità relazione, una vita spirituale superficiale e un’insufficiente capacità di gestire situazioni di stress sono trai i fattori che possono portare a una separazione interna: da una parte la persona “funziona” esercitando il suo ruolo, dall’altra si costruisce un séparé dove agisce per gratificare i suoi bisogni e per colmare i suoi vuoti interiori. Sebbene essi possano dimostrarsi molto empatici e dedicati al loro ministero verso l’esterno, agiscono pervertendo i loro valori e senza vera empatia nei confronti delle loro vittime. Dipendenti dal grado di deformazione della loro coscienza, si alleggeriscono dal loro senso di colpa con la confessione, oppure trovano razionalizzazioni e spiritualizzazioni distorte per giustificare il loro abuso mantenendo alta la propria autostima. Non di rado come scusante viene messo in evidenza che tutti siamo persone deboli, peccatori e bisognosi di misericordia e di perdono. Si crea così un mondo a sé stante.
È vero che gli abusatori in gran parte sono stati a loro vittime?
Non è necessariamente così. Ci possono essere altre esperienze traumatizzanti alla base. Rischiano di diventare a loro volta abusatori coloro che, in seguito agli abusi subiti, non vengono ascoltati e creduti, oppure vengono colpevolizzati di aver istigato o provocato l’abuso. Per alleviarsi dal trauma dell’abuso, vengono invertiti i ruoli: l’impotenza vissuta durante l’abuso si trasforma in potere su altri, come elaborazione del proprio vissuto sofferto. Chi, invece, viene ascoltato e riceve il necessario supporto sociale, terapeutico e spirituale non è a rischio. Generalmente si può dire che le persone che abusano soffrono di una patologia come la pedofilia o di un deficit psico-affettivo e relazionale.
Gli abusi, statisticamente parlando, sono in maggioranza omosessuali o eterosessuali? Perché?
Per quanto riguarda la società in generale abbiamo più vittime femminili e la maggior parte delle persone che abusano sono maschi. Diversa è la situazione nella Chiesa cattolica: la maggior parte delle persone abusate sono maschi. I motivi sono vari. Prima di tutto dobbiamo dire che l’abuso sessuale è preceduto da un abuso di potere, di coscienza e spirituale. La gratificazione riguarda soprattutto il bisogno di essere riconosciuto, di dominare e di creare intimità che può sfocare in un abuso sessuale o meno. Qui subentrano i deficit dello sviluppo psico-affettivo e relazionale. La maggior parte dei chierici e religiosi che abusano sono persone con tratti di immaturità notevoli e con una scarsa capacità di affrontare situazioni difficili, frustranti e deludenti, di solitudine e di abbandono. Spesso queste persone non hanno relazioni significative con i coetanei e difficoltà relazionali e paura nei confronti dell’altro sesso. Per questo motivo si sentono più in sintonia con minori che corrispondono alle loro esigenze perché si trovano all’età del loro arresto di sviluppo psico-affettivo e relazionale. Si identificano con essi e si sentono a loro agio perché compensano i loro deficit. Un fattore centrale per la scelta di una ragazza o di un ragazzo è la possibilità di accesso e l’occasione. Le ricerche mettono in evidenza che non c’è un nesso tra abuso di ragazzi e omosessualità nonostante che la percentuale di chierici e religiosi omosessuali sia molto superiore della media sociale. Per una buona parte di chierici e religiosi il loro percorso vocazionale si è realizzato in ambienti puramente maschili con proibizione o evitamento di contatti con l’altro sesso. Per cui è più facile per loro instaurare contatti con potenziali vittime maschili. C’è, o meglio c’era, un fattore culturale da ricordare: un ragazzo che frequenta un sacerdote era più accettato e meno appariscente. Mentre era diverso nel caso di una ragazza. Secondo le ricerche fatte, sembra che la selezione di una potenziale vittima non sia guidata principalmente dal genere, ma dalle esigenze dell’autore del reato.
Esistono dei cammini di riabilitazione morale e spirituale per queste persone. Come e da chi vengono portati avanti?
Al di là delle pene per gli abusi perpetuati di rilevanza penale, sono necessari accompagnamenti psicoterapeutici individuali e di gruppo. Dobbiamo essenzialmente distinguere tra due gruppi: quelli che sono consapevoli del loro reato, e quelli che non si riconoscono colpevoli. I primi provano rimorsi, vergogna, sensi di colpa e temono le conseguenze. Essi tendono a sottomettersi a terapie, cure e accompagnamenti. I secondi tendono a rifiutare le proposte di terapia e di accompagnamento, sono molto resistenti alle terapie e tendono a manipolare i terapeuti e accompagnatori. Il cammino risulta molto difficile, anche se è sempre necessario proporre e fare un cammino terapeutico perché almeno c’è la possibilità di supervisione e di monitoraggio. Nei casi difficili, il tasso di recidiva è molto alto.
Ci sono diverse strutture dove si accolgono anche chierici abusatori. Si tratta di strutture residenziali con periodi di vita comunitaria e cammini insieme a psicoterapie individuali, terapie di gruppo e un accompagnamento spirituale. Sono strutture gestiti dalla Chiesa, Caritas o istituti religiosi, con la presenza anche di laici, di operatori qualificati e un’equipe di professionisti.
Ha parlato del rischio di ricadute in chi ha fatto un cammino di riabilitazione.
Il rischio della recidiva c’è e in più c’è la sfida dell’integrazione dopo un cammino di riabilitazione. È necessario avere delle procedure ben definite per la persona che ha abusato, delle parrocchie o strutture ecclesiali e degli operatori pastorali. Per la diocesi è necessaria una serie di criteri per valutare l’idoneità e la disponibilità del chierico stesso, e per verificare l’opportunità di reinserimento. È necessario applicare dei criteri per valutare e scegliere la parrocchia o l’istituto ecclesiale come luogo di reinserimento. È altrettanto essenziale coinvolgere nel processo di reinserimento la comunità insieme ai responsabili e operatori pastorali e/o educatori. È importante creare un consenso informato e condiviso per accogliere, collaborare, accompagnare e monitorare il chierico che viene reinserito. La diocesi dovrà provvedere a una regolare supervisione e valutazione del percorso coinvolgendo anche esperti esterni.
È possibile fare un’azione di prevenzione efficace per clero e religiosi, in modo da evitare che si verifichino abusi?
È necessario attuare tutte le misure di prevenzione già esistenti: i valori cristiani, la missione pastorale e la vita spirituale offrono un orientamento chiaro. È importante interiorizzarli perché la nostra motivazione è sempre “mista” e richiede un continuo discernimento e confronto. Una politica diocesana che promuove e si impegna a creare ambienti sicuri, a provvedere personale affidabile e implementare momenti di verifica fornisce un prerequisito essenziale per tutela dei minori e delle persone vulnerabili. Questo dovrebbe essere il filo conduttore in tutti gli ambienti pastorali ed educativi e in vista di tutte le attività. Per gli agenti pastorali, ordinati e no, sono importanti la selezione, l’accompagnamento psicologico e spirituale, la formazione iniziale e la formazione permanente come elementi fondamentali per garantire un atteggiamento competente, responsabile e trasparente sia per la prevenzione, sia per l’intervento in caso di sospetto o di abuso. Questo dev’essere accompagnato da una riflessione personale, teologica e spirituale sull’uso del potere e sulla gestione dell’autorità legata al proprio ruolo. Inoltre, sono da ravvivare e da implementare diverse forme di confronto e di verifica come l’esame di coscienza individuale e comunitario, la “correctio” fraterna, incontri di condivisione, l’accompagnamento spirituale e la gestione delle risorse umane da parte dei responsabili. Parte di una prevenzione efficace per il clero e per i religiosi sono la coltivazione di sincere amicizie insieme a una gestione appropriata del tempo libero per rafforzare la resilienza, e l’attenzione per la cura di sé.
Dalla parte delle famiglie: ci sono dei segnali di disagio che indicano che un figlio minore possa essere vittima di abusi in un ambiente ecclesiale? Che cosa fare se si registrano questi segnali?
Per quanto riguarda le famiglie, i gruppi e le comunità, prima di tutto ci dev’essere la consapevolezza della realtà degli abusi, di ogni forma, che sono presenti sempre e ovunque. Questo implica un cambiamento di cultura che passa da una fiducia cieca e acritica a una vigilanza solidale, dal distogliere lo sguardo a uno sguardo attento e a un ascolto compassionevole, e dal ruolo di spettatore a un coraggio evangelico e civile. Non ci sono segnali inequivocabili che indicano che c’è un abuso: l’abuso di potere, di coscienze e quello sessuale non lasciano tracce immediatamente visibili. Comunque si può dire che un cambio brusco ed evidente di un atteggiamento o di un comportamento dovrebbe suscitare quell’interesse e quella curiosità pedagogica di chiedere e di affrontare ciò che si nota: per esempio, se un ragazzo non vuole più stare in un gruppo quando era il suo gruppo preferito, o se una ragazza allegra inizia a ritirarsi e a evitare certi luoghi o contatti. Possono essere mille le ragioni che motivano il cambiamento ma l’attenzione è cruciale per potere capire il perché. In caso di sospetto è sempre bene confrontarsi con altri, per verificare se abbiano notato qualcosa, e di condividere il sospetto con i responsabili e con esperti per procedere adeguatamente e in modo competente. Qui il servizio diocesano per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili offre un sostegno importante disponendo di un’equipe con vari professionisti.
Per gli abusati quali sono gli ostacoli maggiori nel superare il trauma? Arrivano a perdonare chi ha fatto loro del male?
Per le persone abusate e per i sopravvissuti agli abusi uno degli ostacoli maggiori è quello di non essere ascoltate, credute e prese sul serio. Anzi a volte, addirittura, vengono a loro volta accusati di aver istigato, sedotto o di aver provocato l’abuso. Queste esperienze negative non solo fanno rivivere il trauma dell’abuso ma ne aggiungono uno ulteriore. Altri ostacoli riguardano il timore che l’abusatore metta in atto le minacce già rivolte alla vittima o alla sua famiglia o che usi violenza. La sensazione di essere intrappolati e di non avere via di scampo porta a una re-traumatizzazione delle vittime. Le reazioni dell’ambiente sociale e familiare, delle istituzioni ecclesiali e dei loro responsabili hanno un forte impatto sulle persone vittime e sopravvissute di abusi. La qualità dell’accoglienza, dell’ascolto e dell’accompagnamento durante le diverse fasi delle procedure canoniche e/o civili può favorire o ostacolare il superamento del trauma. Gli effetti dell’abuso possono perdurare tutta la vita, riducendone la qualità e la durata. Alcuni non riescono a trovare altra soluzione che il suicidio. Il perdono è un atto di Grazia e non può essere preteso o costretto. Il perdono richiede il tempo, libertà e disponibilità. Tutta la Chiesa è chiamata a una radicale conversione per affrontare la piaga dell’abuso creando un ambiente sicuro e protetto per tutti.
Patrizio Righero
Il referente della diocesi di Pinerolo è don J. Omar Larios Valencia. Per contattare il servizio diocesano scrivere a: tribunale@diocesipinerolo.it – tel: 0121373322.
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