9 Luglio 2013
Tra speranza e preghiera: le vocazioni in Piemonte

Incontrando papa Francesco il primo argomento del confronto, sincero e sereno con i vescovi piemontesi, è stato la situazione delle vocazioni sacerdotali e religiose in Piemonte e Valle d’Aosta. Vi sono motivi seri di preoccupazione: non si intravvede la fine del tunnel nel quale siamo entrati ormai da una quarantina di anni. Ma vi è anche qualche segno di speranza: in queste settimane l’arcivescovo di Torino ha ordinato nove preti, ritornando (almeno per quest’anno) a numeri che non si erano più visti da tempo. Aosta ha avuto tre nuovi preti, dopo sei anni senza ordinazioni.
Vi è quindi qualche segno di speranza. Ma la ragione profonda della fiducia sta nel fatto che crediamo che una vita consacrata al servizio di Dio e del prossimo abbia senso, sia una realtà positiva, che non può non attrarre. Certo la situazione della vita del prete e della vita consacrata è cambiata radicalmente in questi decenni. Le ragioni sono tante: la secolarizzazione, il benessere diffuso, le mille possibilità professionali che si sono aperte soprattutto per le ragazze, il venir meno di famiglie numerose, la difficoltà ad assumere un impegno per tutta la vita… dobbiamo prendere atto di queste difficoltà. In un mondo che misura tutto sull’efficienza, sul rendimento, sull’immediato, sull’affermazione di sé c’è ancora qualcuno che sappia guardare lontano, che osi impegnarsi per sempre, che punti su qualcosa che non può avere un riscontro immediato, che si metta a servizio degli altri? Davvero le vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa hanno qualcosa di miracoloso.
Questo miracolo ha bisogno di un ambiente con temperature alte. Mi riferisco al fatto che deve esserci un certo entusiasmo. Ognuno deve poter dire a se stesso: vale la pena dare la mia vita, ci provo! Questo è possibile solo in un contesto di relazione “calda” col Signore, cioè di preghiera.
Quando parliamo di preghiera per le vocazioni talvolta sottintendiamo: abbiamo fatto tutto il possibile ma visti i risultati non ci resta che pregare. Una preghiera frutto di rassegnazione. Già il Beato Giovanni Paolo rivolgendosi ai preti di Roma affermava: «La preghiera non è una specie di delega al Signore, perché faccia lui al nostro posto. È invece un fidarsi di lui, un mettersi nelle sue mani, che ci rende a nostra volta fiduciosi e disponibili a compiere le opere di Dio. Pertanto –continuava il Papa – la preghiera per le vocazioni è certamente compito di tutta la comunità cristiana».
La preghiera è il mezzo che i credenti hanno di leggere il problema vocazionale alla luce di Dio, di farsi carico di questo problema. In Piemonte da una quindicina di anni si è costituito un gruppo denominato “Monastero invisibile”: sono persone che prendono l’impegno di dedicare mensilmente un’ora per supplicare “il signore della messe perché mandi operai nella sua messe” (Mt 9,37). Si crea una solidarietà sul piano spirituale che riteniamo possa alzare un po’ la temperatura delle nostre comunità. Mi pare importante questa prospettiva comunitaria. La ricordava papa Benedetto XVI nel messaggio per la Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni di quest’anno: «Quando un discepolo di Gesù accoglie la divina chiamata per dedicarsi al ministero sacerdotale o alla vita consacrata, si manifesta uno dei frutti più maturi della comunità cristiana, che aiuta a guardare con particolare fiducia e speranza al futuro della Chiesa e al suo impegno di evangelizzazione».
Dietro ogni vocazione c’è il dialogo tra la libertà di Dio e la libertà dell’uomo, ma c’è anche una comunità che si sente responsabile e coinvolta. Per questo speriamo e preghiamo.
+ Giuseppe Guerrini – Vescovo di Saluzzo
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