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Chiesa  

“Sì alla famiglia” difende il matrimonio in un manifesto

“Sì alla famiglia” difende il matrimonio in un manifesto

10 novembre 2014

Un documento che richiama il catechismo, le scelte del Sinodo e le parole del papa

“Sì alla famiglia” è la rete di comitati locali che riuniscono le associazioni desiderose di promuovere i diritti della famiglia naturale fondata sul matrimonio di un uomo e di una donna. Tale rete è nata il 1° dicembre dello scorso anno a Torino, e il Movimento Cristiano Lavoratori è tra le realtà fondatrici.
Di recente “Sì alla Famiglia” ha lanciato un nuovo manifesto in difesa della famiglia sulla scia di quanto emerso dalla relazione finale del Sinodo e dopo l’attacco da parte di giudici e sindaci nei confronti di Angelino Alfano; quest’ultimo aveva ricordato che in Italia le unioni gay non sono riconosciute dalla legge.
Il manifesto (pubblicato integralmente sul sito www.siallafamiglia.it) si apre proprio con la richiesta che dal Sinodo di sabato scorso è stata rivolta ai governi, ovvero «promuovere i diritti della famiglia per il bene comune», precisando che si tratta della famiglia fondata sull’«amore coniugale unico e indissolubile» e aperto alla vita. Prosegue con la constatazione che in Italia si assiste al contrario: divorzio rapidissimo e privatizzato, fisco sempre meno a misura di famiglia, depenalizzazione dell’uso delle droghe leggere, fecondazione artificiale eterologa, attacco ai medici e operatori sanitari che sull’aborto fanno obiezione di coscienza, sindaci che violano la legge trascrivendo «matrimoni» omosessuali contratti all’estero.
Segue un preciso chiarimento: le persone omosessuali devono essere accolte – come insegnano il «Catechismo della Chiesa Cattolica», lo stesso Sinodo e papa Francesco – con «rispetto, compassione e delicatezza», evitando nei loro confronti ogni «marchio di ingiusta discriminazione». Da ogni convivenza derivano diritti e doveri, che in gran parte la legge italiana già riconosce anche ai conviventi omosessuali: assistenza in ospedale, in carcere, subentro nei contratti di locazione e così via.
La parte finale del manifesto è dedicata, alle “unioni civili”. Riporta il documento di “Sì alla Famiglia”: «Unioni civili?» L’espressione, come Papa Francesco ha ricordato nell’intervista al Corriere della Sera del 5 marzo 2014, comprende «diverse forme», da valutare una per una. Perciò il manifesto non è in linea di principio contrario a testi unici o altri strumenti che elenchino i diritti e i doveri che derivano dalle convivenze, anche omosessuali, ove necessario con aggiustamenti pratici di carattere amministrativo e civile.
Nemmeno le proposte di Matteo Renzi fanno eccezione. I casi inglese e tedesco (spesso invocati dal premier) richiamano alla prudenza. La proposta Renzi – specifica bene il manifesto – si scrive “unioni” ma si legge “matrimonio”. Si deve essere contrari a ciò, perché tali unioni introducono qualcosa che è uguale al matrimonio tranne che nel nome e in un limite posto all’adozione. L’esperienza inglese insegna che queste «unioni civili» dopo qualche anno cambiano nome in «matrimonio» in modo pressoché naturale e indolore. L’esperienza tedesca mostra come introducendo la possibilità di adottare i figli biologici di uno dei conviventi si offra un assist alla magistratura per allargare costantemente l’area dell’adozione in nome del principio di uguaglianza.
No alle unioni civili di Renzi, dunque, e sì alla famiglia. La conferma del pericolo anche arriva da Ivan Scalfarotto, l’uomo per i «nuovi diritti» del PD: «L’unione civile non è un matrimonio più basso, ma la stessa cosa. Con un altro nome per una questione di realpolitik» (Repubblica, 16-10-2014).

Daniele Barale

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