22 giugno 2014

Per molti preti, il 29 giugno, festa degli apostoli Pietro e Paolo, è l’anniversario dell’ordinazione sacerdotale. Si ricorda sempre con tanta gioia e gratitudine questa data. Essere preti è un dono grande, di cui – per usare un’espressione del santo Curato d’Ars – ci vuole un’eternità per ringraziare il Signore.

In questi giorni numerose comunità si stringono attorno ai loro parroci per ricordare l’anniversario della loro ordinazione. Sono occasioni per esprimere sentimenti genuini e sinceri, che manifestano apprezzamento e affetto per il sacerdote che consuma per loro la sua vita, ma nello stesso tempo nascondono sentimenti di preoccupazione circa il futuro della parrocchia. La scarsità e l’età molto alta del clero, i seminari vuoti, non sono segnali incoraggianti.

Dal 10 al 13 novembre prossimo si svolgerà un’assemblea straordinaria dei vescovi italiani sul tema: “La vita dei presbiteri e la loro formazione permanente”. Il compito di ogni vescovo è quello di sostenere i sacerdoti ad essere fedeli alla missione ricevuta e a rispondere con sapienza pastorale alle sfide di questo nostro tempo.

Per questo la formazione permanente è indispensabile. Ma nella vita del prete c’è anche il rischio di sentirsi solo e di proporre valori non più accettati né condivisi; c’è poi il sopraccarico di lavoro pastorale che può portare a situazioni di stress. Oggi, più che mai, il prete ha bisogno di sperimentare accanto a sé la comunità. Non una comunità generica e sbiadita, ma fatta di volti, di nomi, di persone che esprimano veramente il senso di una famiglia. Nessuno si realizza restando da solo. Questo vale anche per il prete.

Invito tutti fedeli a ripensare al modo di esprimere la propria appartenenza alla comunità parrocchiale; soprattutto a coltivare un rapporto di fiducia e di affetto verso il proprio parroco. Senza di voi, egli non ha ragione di esistere. Ma anche voi, senza di lui, non avete chi vi annuncia la Parola, chi celebra i sacramenti e chi vi aiuta ad essere “un cuore solo è un’anima sola”.  Alcune volte – e i motivi sono i più diversi – si crea quasi un fossato tra prete e fedeli. Non deve essere così! La parrocchia è come una famiglia e solo impegnandoci a superare i contrasti e perdonandoci di vero cuore si può continuare a camminare rendendo più forte la comunione.

Carissimi fratelli e sorelle, vogliate bene ai vostri parroci! Essi sono sempre in prima linea. La loro vita è per voi! La loro amarezza è sperimentare che attorno c’è indifferenza, perché questa produce freddezza e anche gelo.

A tutti i presbiteri voglio rivolgere una parola di incoraggiamento. La vita è ben realizzata se è donata alla nostra gente, che deve trovare la porta delle nostre case parrocchiali sempre aperte. È bello giungere alla sera e dire: “Non ho avuto un minuto di tempo per me!”. È segno che la giornata è stata ben spesa.

Aggiungo pure questa raccomandazione: i nostri beni materiali, i nostri soldi – tanti o pochi – devono essere anche condivisi con i poveri delle nostre comunità. Più sappiamo condividere, tanto più siamo credibili nella predicazione e nell’azione pastorale. I fedeli si accorgono se la nostra vita è donata senza riserve, se partecipiamo alle loro vicende, se c’è un atteggiamento di fraternità nei loro confronti.

Il Signore ci affida – pastori e fedeli – il compito di costruire comunità nuove, forse non più numericamente grandi, ma certamente ricche di solidarietà, tanto da diventare “segno” che attrae, come le comunità narrate nei capitoli 2 e 4 degli Atti degli Apostoli: «Erano perseveranti nell’insegnamento degli Apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere… Intanto il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati» ( At 2, 42-47).

È con queste parole che esprimo, insieme agli auguri, tanta gratitudine ai nostri presbiteri. Restiamo loro vicini!

Pier Giorgio Debernardi

 

vescovo