Ieri 21 giugno 2018, è ricorso il 20° anniversario della morte dell’Arcivescovo card. Anastasio Alberto Ballestrero, di cui è in corso la causa di beatificazione. Nel Santuario della Consolata, alle ore 18, l’Arcivescovo mons. Cesare Nosiglia ha presieduto una concelebrazione eucaristica. Di seguito viene riportato il testo integrale dell’omelia.

 

Le letture bibliche ci richiamano due aspetti che segnano particolarmente la vita e il ministero del cardinale Ballestrero di cui facciamo oggi memoria viva in questa santuario della Consolata da lui particolarmente amato. A me questo ricordo regala anche una gioia particolare: io, suo terzo successore, ho avuto infatti l’onore di poter aprire solennemente, il 2 ottobre 2014, la causa di beatificazione del cardinale. Non è un dono che capita a tutti i vescovi, e non è neppure un evento che accade in ogni diocesi quello di avviare,  a pochi anni di distanza dalla morte della persona, un processo di beatificazione.

La prima lettura (1Re 3, 4-18) ci ricorda il dono che Dio fece a Salomone offrendogli un cuore saggio che gli permise di guidare il suo popolo sulla via della verità e divenne esemplare anche per tutti gli altri re dei popoli del territorio. La sapienza è uno dei doni dello Spirito che garantisce di discernere il bene e il male e conduce a compiere la volontà del Signore. Essa vale più di ogni altra virtù e di ogni ricchezza o abilità che si può avere per compiere con frutto di giustizia e carità ogni nostra azione.
Credo che il card. Ballestrero abbia esercitato questo dono nel suo ministero episcopale a Bari, Torino e come Presidente della CEI e ne abbia tratto anche quella ricchezza di Magistero che caratterizzava il suo insegnamento e il suo servizio negli esercizi spirituali che ha offerto a tutti, sacerdoti e religiosi e religiosi, laici e famiglie. Certo la sapienza del cardinale non derivava solo dalla sua scienza e preparazione teologica e biblica, ma da una assidua meditazione della Parola di Dio, nel coltivare il suo personale incontro con i Padri della Chiesa di cui era un ricco cultore e di quella preghiera di contemplazione che trovava la sua fonte nel carisma carmelitano e nello studio di Santa Teresa e San Giovanni della Croce. Non è facile entrare in questa prospettiva che dà serenità interiore e senso di equilibrio per trovare sempre la via della sapienza e del discernimento su quanto dobbiamo fare senza strafare o pensare che tutto dipenda da noi, dalle nostre abilità pastorali, dai nostri programmi, mezzi, strumento, documenti e così via. Ritornare alla semplicità ed essenzialità della nostra stessa vita interiore, trovare spazi di silenzio meditativo e riflessivo a partire dall’ascolto del Vangelo e di se stessi nel proprio cuore, rappresenta l’obiettivo che tutti sentiamo oggi emergere con forza dentro ma che spesso non riesce a trovare sbocchi concreti nel tessuto quotidiano della vita convulsa e aggravata da tanti doveri e cose da fare che giudichiamo indispensabili e necessarie.

L’uomo saggio, ci ricorda il Vangelo (Mt 7, 21-29), costruisce la sua casa sulla roccia, l’uomo stolto sulla sabbia. La solidità della vita di un Vescovo e sacerdote e l’efficacia del suo ministero esigono che sempre ci sia questa preoccupazione di edificare quello che dice e fa sulla roccia salda del Signore. Se infatti «il Signore non costruisce la casa (la propria vita) invano si affaticano i costruttori…»; e se il Signore non vigila sulla città (una Diocesi e una parrocchia) invano veglia il custode (Sal 126). L’esercizio della sapienza permette tutto ciò e rende umili e docili al volere di Dio, come ci dice Gesù: «quando avete fatto tutto quello che vi è stato ordinato dite: Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quello che dovevamo fare» (Lc 17,7-10).

Il ministero episcopale del cardinale Ballestrero ha riassunto veramente tutta l’intera sua vita di religioso, superiore, maestro spirituale, perito conciliare, vescovo: una sapienza del cuore maturata e costruita dentro un carattere impetuoso e un’intelligenza vivissima.Una sapienza che ha permesso al cardinale di guidare la Chiesa in Italia come Presidente della CEI e le Diocesi di Bari e di Torino affrontando con coraggio e vigore i nodi anche più intricati che si creavano quando prevalevano idee o posizioni contrapposte, non sempre verificate e vissute con la dovuta umiltà alla luce della fede.

Un ricordo a cui ho avuto la grazia di partecipare e che porto nel cuore riguarda il Convegno ecclesiale di Loreto. Il clima del Convegno prese a un certo punto una piega non buona che suscitò divisioni e incomprensioni tra i convegnisti con tensioni che facevano presagire una clamorosa rottura della comunione. Il punto nodale era quello di percorrere uniti una via capace di promuovere nel nostro Paese una forte presenza dei laici in particolare che facesse ricuperare alla fede cristiana e alla sua testimonianza, un ruolo guida e una efficacia trainante nel cammino verso il futuro. Le conclusioni del Presidente Ballestrero furono un capolavoro di saggezza e di equilibrio, un momento di pacificazione che senza rinnegare una o l’altra posizione riuscirono a riportare serenità e fiducia in tutti. Egli sottolineò che non si fa parte della Chiesa per chiudersi dentro le proprie piccole posizioni contrapposte, che creano disunione e suscitano beghe che si è tentati di enfatizzare: non ne vale la pena. È stupendamente bello – affermò tra gli applausi di tutta l’assemblea – che i figli di Dio si scoprano tali proprio nel dialogo e confronto tra loro e traggano da questa scoperta la loro insostituibile fraternità che smorza ogni contrasto ed esercita la riconciliazione con il mutuo perdono chiesto insieme al Signore. Nella sua Prolusione aveva richiamato la situazione dell’Italia con un monito che potrebbe essere molto adatto ai nostri tempi: «esistono oggi nel Paese profonde differenze di valutazioni dei fatti sociali e dei fondamentali valori dell’esistenza quali i valori della vita, dell’etica, della verità, della giustizia e dell’amore. Pur con realismo siamo sempre aperti alla speranza, ma è un dato di fatto che operano nel tessuto del nostro Paese metodi ora convulsi e ora sistematici e orientamenti esistenziali decisamente avversi all’uomo e al vangelo».

Mons. Ballestrero non si e’ mai tirato indietro quando si trattava di mettere in pratica il detto evangelico: «il vostro parlare sia sì, sì o no, no, il di più viene dal Maligno» (Mt 21,37. E non ha mai puntato sui mezzi umani  per svolgere bene il suo compito di religioso e di vescovo, ma sulle relazioni sincere, schiette e vere. In fondo è anche quello a cui ci richiama papa Francesco con la sua semplicità e rapporto diretto con le persone, saltando tante barriere di ruolo o di cerimoniali ed etichette consolidate. Bisogna portare in sé l’odore delle pecore ci dice e dunque stare dentro il gregge, mischiarsi con le pecore perché solo così è possibile conoscere da vicino le persone e i loro problemi e condividere dal di dentro del loro vissuto le ansie, attese, speranze e gioie di ogni giorno.

Chiediamo al Signore di saper utilizzare bene il ricordo e l’esempio del cardinale Ballestrero che tanti di noi hanno conosciuto e che forse non abbiamo saputo apprezzare a dovere durante il suo ministero ma che in realtà ci ha dato tanto e ci fa comprendere quanto sia buono il Signore che ce lo ha messo vicino per dirci quanto ci ama e quanto ha a cuore la nostra salvezza.

+ Cesare Nosiglia