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Sentieri dello spirito  

Lettera aperta a un figlio lontano nel giorno della mia festa

Lettera aperta a un figlio lontano nel giorno della mia festa

Caro figlio,

sono papà, quello strambo, quello stanco, ma sempre pronto ad abbracciarti.

Sai non è stato semplice guardarti crescere, perché significava che, come le piante secche che disutili vengono gettate via, anch’io, mi stavo avvicinando sempre di più al mio ultimo viaggio.

Mio caro, sei nel mio cuore da quando per la prima volta ho scoperto che eri in arrivo, on your way si dice da te, right? Mi hai fatto imparare anche una nuova lingua! Visto come sono diventato bravo, figliolo? Questa mia lettera ti arriverà tra qualche giorno e, nel luogo in cui ti trovi, sono sicuro che ti commuoverai. I wish! Perché te la scrivo con il cuore in mano. Il mio sguardo attento non ti ha mai lasciato neanche per un secondo. Ricordo ancora il tuo primo vagito e quel tuo primo sorriso che ha avvolto di luce i miei giorni grigi, come il cielo di quelle domeniche di ottobre quando, con trepidazione, andavamo nel bosco a raccogliere castagne. Ancora inconsapevole del mondo around you, sei stato, per me, il testimone vivo dell’amore di Dio: quando nulla era più importante per me, io ero tutto ciò che avevi. Così, giorno dopo giorno, hai colmato il limite invalicabile del lutto, insegnandomi il perdono, perché “non avrà avuto un papino dolce come te che gli ha insegnato ad amare”, dicevi. Avevi solo 8 anni, ma eri già così saggio. Non ho mai pensato che avrei potuto ricevere tanto. Troppo presto la vita mi aveva tolto ciò che più amavo al mondo, ma sei arrivato tu che hai riempito i miei giorni di frenesia e di gioia e io, che avevo riposto la gioia in un grosso baule in soffitta e mi ero seduto su quella sedia morbida davanti alla stufa, aspettando for the other shoe to drop, aspettando l’inevitabile, ho ricominciato a vivere. Per te e con te.

Figliolo, se ho imparato qualcosa in questo mio lungo viaggio è che il male può volgere al bene. Lo so che sembra un’antinomia, ma io ho fatto di quella sedia che ha visto tua mamma morire – non lo sapevi, vero? Sono stato bravo a custodirlo dentro di me per tutti questi anni, ma ora è il tempo che tu sappia che Dio salva sempre il disperato – il nostro luogo segreto: era il luogo attorno al quale ci riunivamo la sera per leggere la storia della buona notte, era la sedia sulla quale ti sedevi quando ritornavi da scuola e, mentre io preparavo il pranzo sulla stufa, mi raccontavi i gossip del giorno. Eri il gazzettino della scuola e questo mi faceva sorridere tanto: il tuo entusiasmo era contagioso e, ora te lo confesso figliolo, io non vedevo l’ora che arrivasse quel momento, perché era una boccata d’aria fresca nelle giornate overwhelming che spesso i grandi hanno. Meno male che ci siete voi figli a scuotere i nostri giorni, altrimenti chissà cosa ne sarebbe di noi. Il 14 marzo dello scorso anno, alle 9 a.m. EST – ricordo bene quel giorno – il tuo ultimo messaggio è stato: “Hey papino! Oggi andrò a Varsavia per un convegno. Anche se devo imparare a lasciarti andare, a non disturbarti troppo, ti chiamerò dalla città del Papa. Love ya, XOXO”. Mi sono sempre chiesto come si possa lasciar andare i figli, a distaccarsi da loro giusto quel poco, affinché possano camminare da soli, sulle loro gambe, sperando che abbiano imparato a vivere. L’ho imparato da te che già a tre anni sapevi leggere e scrivere. L’ho capito subito che saresti diventato chiunque tu avessi voluto diventare, perché eri il più intelligente e il più buono tra i tuoi coetanei. E l’intelligenza senza la bontà è inutile. Ora vivo lì, nella città del Papa, perché è l’unico posto in cui mi senta a casa. Ho portato con me quella sedia e l’ho posizionata esattamente dov’era nella nostra vecchia casa. Mi siedo lì tutte le sere, non più aspettando la morte. Ma come quel giorno di tanti anni fa, quando tua madre morì e tu arrivasti nella mia vita come un pacco postale, aspetto e ricordo. Ricordo le tue domande e i tuoi perché, i tuoi sorrisi e le tue letture, i tuoi racconti concitati e le tue riflessioni filosofiche sulla vita che solo i bambini ancora stupefatti sanno fare.

Caro figliolo, oggi, nel giorno della mia festa, voglio scriverti una lettera, perché se tu non ci fossi stato, io non sarei quel che sono. Non sarei mai stato padre. E non lo sarei per sempre, nonostante tu non ci sia più.

Varsavia, Wlochy, 19 marzo 1981

Erica Gavazzi

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