3 agosto 2015
Il bicentenario della nascita di don Bosco ci offre l’occasione per ricordare le sue numerose presenze nel territorio pinerolese, a cominciare dalla gita che fece nel 1835, quando ancora giovane studente a Chieri, venne, nelle vacanze pasquali, a trascorrere una settimana a Pinerolo ospite della famiglia Strambio. In quella occasione fece anche una passeggiata in carrozza fino a Fenestrelle. Diventato prete, ritornò più volte in questa città dell’alta Val Chisone. Le “Memorie biografiche” annotano: «Egli di quando in quando recavasi a Fenestrelle presso il curato don Guigas Giambattista, suo amico, ed ivi predicava» (IV, pp. 108- 109).
La sua presenza è attestata nel 1841 appena ordinato sacerdote, e poi ancora nel 1844, nel 1850, nel 1866, 1867 e 1868. La nostra gente ama don Bosco, invoca la sua intercessione, lo sente come maestro che insegna che la vita è bella se si mette “il cuore” al centro di ogni relazione e situazione. Domenica scorsa, tante persone sono convenute al Puy per ricordare la sua salita lassù per predicare nella festa di sant’Anna, la domenica 26 luglio 1868. Il passaggio dei santi lascia sempre un ricordo incancellabile. Infatti, don Bosco era il prete che sapeva parlare con il “cuore” e amava restare in mezzo alla gente.
Non andava in montagna per fare le ferie, ma per rendersi utile nel ministero. Passò nei nostri villaggi e frazioni per predicare, consolare, offrire parole di speranza, mettere pace nei cuori. Il suo intento era anche quello di portare conforto al suo arcivescovo, monsignor Luigi Fransoni, prigioniero al Forte di Fenestrelle. Don Bosco era il prete che leggeva nel cuore dei giovani per aiutarli a discernere i disegni di Dio nella loro vita. Quanti ragazzi e ragazze, egli ha incontrato nei suoi viaggi in Val Chisone! Molti di loro, conquistati dal suo carisma e dal progetto di vita che proponeva, diventarono salesiani e figlie di Maria Ausiliatrice. Sono partiti per la Francia, il Belgio e per le Missioni, soprattutto in America Latina, dove realizzarono opere meravigliose in campo educativo. I loro cognomi sono tipicamente della Val Chisone: Bourlot, Guiot, Lantelme, Ronchail. Di quest’ultimo don Bosco disse: «Mio caro don Ronchail, tra quelli che sono già teco e quelli che vanno, puoi già formare un mezzo esercito di Ronchail».
Don Bosco insegna ancora oggi, che «l’educazione è cosa del cuore e che Dio solo ne è il padrone, e noi non potremo riuscire a cosa alcuna, se Dio non ce ne insegna l’arte, e non ce ne mette in mano le chiavi». Quanto bisogno c’è, oggi, di don Bosco! Quanto è attuale il canto: “don Bosco, ritorna!” Il suo metodo educativo poggia su questi pilastri: ragione, religione e amorevolezza. Se ne cede uno, tutto l’edificio – cioè la costruzione della personalità – rischia di crollare. Soprattutto i genitori hanno bisogno di don Bosco. Davanti a tanti fallimenti è necessario confrontarsi con chi è sperimentato nell’arte educativa. Ma la chiave del successo sta sempre nel mettere il “cuore” al centro di ogni nostro intervento. Per questo don Bosco ripeteva: «Studiamoci di farci amare». Tutto il resto viene di conseguenza.
+ Pier Giorgio Debernardi