Commento al Vangelo della XXXII Domenica del tempo ordinario a cura di Carmela Pietrarossa. 10 novembre 2013

 

Dio non è dei morti, ma dei viventi (Lc 20,27-38).

 

Il caso della donna andata in moglie a sette fratelli offre lo spuntjesuso a Gesù per introdurre il discorso sui “figli della risurrezione”, su quanti, cioé, “non possono più morire”.
La riflessione su questo tema si inserisce opportunamente nel mese di novembre che ha visto il suo esordio con la celebrazione di tutti i Santi, seguita dalla commemorazione dei fedeli defunti, al fine di focalizzare l’attenzione del credente sull’evento morte che accomuna tutti, quale appuntamento ineluttabile ed improrogabile, che segnerà il passaggio dal tempo nello spazio all’eternità in Dio.
Nella pericope evangelica dell’odierna domenica, Gesù rispondendo ai suoi interlocutori si qualifica “Dio non dei morti, ma dei viventi”, introducendo una distinzione tra i figli di questo mondo e quelli che sono giudicati degni della vita futura (letteralmente: “dell’altro mondo”), definiti, questi ultimi, uguali agli angeli.
Infatti, come le creature angeliche vivono in Dio, godendo della sua pace e della sua gioia, parimenti, i risorti parteciperanno pienamente della vita e dell’armonia divine, portando a perfezione quella comunione d’amore con il Signore e con i fratelli avviata in terra. Essi sono con Dio, splendono della sua luce, in Lui continuano ad amare.
Giova nel contempo evidenziare che definendosi non “Dio dei morti, ma dei viventi”, Gesù Maestro
anticipa quello che sarà il grande limite dei cristiani, essersi cioé irrigiditi nella contemplazione del venerdì santo, attribuendo, invece, una connotazione aleatoria all’evento risurrezione.
Eppure saremo in Dio nella misura in cui ogni giorno vivremo da risorti, cammineremo da salvati, operando delle scelte in quanto redenti, senza permettere alla notte dello scoraggiamento o del compromesso di avere il sopravvento sul sole della speranza, che in Cristo morto e risorto continua a splendere nelle vite degli uomini, riscaldandole.
Possa essere ciascuno di noi, allora, quella finestra che consente ai raggi del sole di entrare in una stanza per illuminarla e riscaldarla; potrà trattarsi di una stanza di ospedale dove la sofferenza è tangibile e si fa persona, o di un ufficio amministrativo di un’azienda, dove l’ombra del licenziamento sembra farsi sempre più presente, o di un’aula scolastica in cui lo sforzo degli educatori si scontra con una cultura, talvolta, superficiale dei giovani, determinata da un uso distorto dei potenti social network.
In ogni luogo, dunque, finestre aperte alla Vita.
Buona domenica!