L’ho visto su RAI tre con due anni di ritardo rispetto alla data di uscita. Come succede a chi non ha sky né troppe occasioni per andare al cinema.
Opera prima della giovane regista di origini italo-tedesche Alice Rohrwacher, “Corpo celeste” è un film da vedere. E da far vedere. Soprattutto ai catechisti.
A parte qualche banalità e qualche inevitabile luogo comune (il vescovo algido e crapulone con il segretario arcigno… un classico!), offre una visione disincantata ma non troppo distante dal vero dell’agire pastorale ordinario di tante parrocchie.
La pellicola presenta una fotografia scarna ma efficace e una recitazione essenziale, senza fronzoli e senza narcisismi. In alcune sequenze si sente l’eco del miglior Truffaut. Non manca un esplicito simbolismo che lo distanzia dal realismo cui pare invece ammiccare nel ritrarre un Sud degradato e avvilito. Di incredibile potenza la scena del crocifisso (impossibile non cogliere il riferimento a quello parlante di don Camillo) che cade dal portapacchi dell’auto guidata dal parroco e precipita in mare. In quel momento il disincantato e frustrato don Mario si rende conto di aver perso il suo rapporto vivo Cristo. E si ferma ad guardare quel crocifisso muto tra le onde (lacrime), in procinto di sfracellarsi sugli scogli.
Dicevo che è un film “per catechisti”, perché offre uno specchio crudele ma salutare per rivedere una prassi ecclesiale spesso al limite del grottesco, lontana dall’uomo ma altrettanto da Dio. Ma è anche l’occasione per soffermarsi sul vissuto di quei “corpi celesti” – i ragazzi – che talvolta appaiono sbiaditi e inconsistenti e che, al contrario, serbano, al di là delle brutture dell’oggi, un profondo senso del sacro.
P.R.
Il trailer