Commento alla Parola di domenica 3 marzo, a cura di Carmela Pietrarossa — III Domenica di Quaresima

“Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo” (Lc 13,1-9).

Conversione: questa sembra essere la parola chiave del Vangelo odierno nella prospettiva affascinante ed entusiasmante di un’esistenza capace di produrre frutti di vario genere.
Tentiamo, però, di inoltrarci gradualmente nella giusta accezione del termine evangelico “conversione”, così come inteso da Gesù.
Di quale conversione si tratta?
In primis rileva evidenziare una tentazione in cui potremmo
essere indotti tutti, quella cioè di esaurirne la portata nel mero impegno personale di ciascuno, nel suo desiderio e tentativo, cioè, di tornare a Dio. Porremmo così l’accento sulla componente volitiva dell’uomo, che pur avendo ruolo e connotazione importanti, tuttavia da sola non sarebbe sufficiente a favorire il suo ritorno a Dio. Dovremmo riconoscerci carenti ed incapaci di qualsiasi serio cammino di conversione e con S. Paolo ci troveremmo ad esclamare: “Io so infatti che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene: c’è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio” (Rm 7,18-19).
Convertirsi, allora, significa spostare l’attenzione del nostro cuore e della nostra mente dal nostro io a Dio per riscoprire ogni giorno di essere da Lui amati e cercati, imboccando la strada di chi vuole rispondere a questo Amore.
Significa, quindi, fare spazio a Lui e lasciarsi abitare dalla sua Grazia nella certezza che Egli va sempre alla ricerca dell’uomo e si prende cura di lui come quel vignaiolo che sa attendere frutti dai suoi alberi.
La conversione è, pertanto, una risposta d’amore che produrrà perle di carità, verità e giustizia nella misura in cui vivremo la nostra vita cristiana come avventura d’Amore, sentendoci amati e donando amore.
In questo tempo quaresimale riscopriamo, allora, il sacramento della riconciliazione; accostiamoci ad esso con l’umiltà di chi riconosce la verità di se stesso dinanzi a Dio, chiedendone perdono.
Consentiamogli di “zappare” la nostra terra con la verga della Parola e di mettervi il “concime” dell’Eucaristia per giungere alla Pasqua terrena e, poi, a quella eterna, come creature purificate e gioiose che corrono incontro al Padre.