In ascolto del discorso della montagna – VIII Nel nostro cammino sul sentiero delle beatitudini proclamate da Gesù ci fermiamo per una breve sosta, in questo mese di Maggio, a contemplare uno squarcio di paesaggio in cui queste beatitudini splendono in tutta la loro pienezza: la vita della vergine Maria.
Sfogliando le pagine del Vangelo notiamo con sorpresa che, ben prima che Gesù annunciasse le beatitudini, Maria è già dichiarata beata dalla bocca della cugina Elisabetta: “Beata colei che ha creduto…” (Lc 1,45). La prima beatitudine evangelica è per Maria, la prima credente. E la prima e più importante beatitudine è quella della fede, che è come dire: la più grande felicità possibile per l’uomo è quella di credere, cioè di vivere nell’abbandono fiducioso nelle mani di Dio, di “gettarsi nelle braccia del Signore” (Sir 2,18).
Appunto ciò che ha fatto Maria. Le poche pennellate biografiche che di lei ci danno i Vangeli ce la dipingono come uno di quei “poveri di Jahvè” dell’Antico Testamento che vivevano la loro fede come totale fiducia, donazione, amore, che avevano come programma di vita: rinunziare a tutto per avere il Tutto che è Dio. Che importanza poteva avere, nella società di allora (figuriamoci in quella di oggi!), la vita insignificante di una ragazzina che dimorava in uno sconosciuto villaggio della Galilea? Poteva mai venire qualcosa di buono da Nazareth? Quella donna povera, mite, pura, affamata di giustizia, cioè desiderosa solo di fare la volontà di Dio, non aveva granchè per attirare gli sguardi degli uomini. Ma aveva l’umiltà, che attirò su di lei lo sguardo di Dio perché “Dio, per innamorarsene, non posa lo sguardo sulla grandezza di un’anima, ma sulla grandezza della sua umiltà” (S. Giovanni della Croce). E soprattutto aveva la fede, cioè aveva spalancata la porta all’ingresso dell’amore di Dio. E quando la fede lascia entrare nella vita la Grazia, allora l’impossibile diventa possibile e Dio può compiere meraviglie nella vita di una persona: una donna diventa Madre di Dio!
Quando Maria ne prende coscienza non riesce a trattenere una grande lode di ringraziamento per quel Dio che non disdegna di farsi presente in mezzo agli umili, deboli, poveri, ma credenti! E intona il Magnificat, in cui canta la bellezza e la felicità di una esistenza nella povertà, nell’umiltà, nella purezza interiore, là dove Dio ama prendere dimora. Superbi, ricchi e potenti, invece, hanno già le mani e il cuore piene dei loro beni, piene di sé: non c’è posto nella loro vita per Dio! C’è posto solo per l’ansia, l’invidia, la tristezza…
Sì, Maria ha sperimentato in sé, e ha voluto cantarle a nome di tutti, la grandezza e la misericordia del Dio delle beatitudini, che si mette dalla parte degli ultimi, che sceglie di “giocare sempre con la squadra che perde”.
“Beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto”: felici anche noi se faremo nostro il Vangelo delle beatitudini, se non dubiteremo di stare dalla parte dei poveri per stare dalla parte di Dio, se sceglieremo di farci ultimi per essere i primi, se accetteremo di perdere la vita per Lui per conservarla. Felici noi se, nella fede, sapremo dire al Signore il nostro “eccomi”, se sapremo consegnare a Lui la nostra vita perché ne faccia ciò che vuole Lui e non ciò che vogliamo noi. Come Maria, con Maria.