7 Settembre 2013
Se uno viene a me...
Commento al Vangelo della XXIII Domenica del Tempo Ordinario a cura di Carmela Pietrarossa
“Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre…e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo” (Lc 14, 25-33).
Leggendo il brano che la liturgia del giorno ci propone, ci verrebbe da obiettare, riprendendo il vangelo di S. Giovanni: “Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?” (Gv 6, 60).
Seguire il Signore è decisamente un’avventura impegnativa; diremmo, prendendo in prestito un’espressione di Papa Francesco indirizzata ai seminaristi, novizi e novizie, che “non si è sempre in luna di miele” con lui, sebbene egli non ci faccia mancare le consolazioni necessarie al momento opportuno; spesso, tuttavia, la strada è irta, dissestata e anche poco illuminata. Viene provata la qualità del nostro amore, della nostra sequela, della nostra adesione totale a Lui, in una parola, della nostra fede.
Oggi Gesù ci chiede di anteporlo a padre, madre, moglie, figli, fratelli, sorelle e persino alla propria vita per poterci dire veramente suoi. Dio è geloso di noi e del nostro amore, vuole il primato nelle nostre esistenze e non si arrende finché non lo abbia raggiunto. Non si lascia battere in amore; esige che tutti gli anfratti del nostro cuore gli appartengano. Questo non vuol dire che non ci chieda di amare i familiari e gli amici, tutt’altro! Essi però devono essere amati in Lui e perché amiamo Lui.
E noi? Di fronte alle esigenze del Vangelo ammettiamo di essere carenti e deficitari, attaccati irrimediabilmente alla terra che ci impedisce di spiccare il volo. Nei parenti, negli amici e nei beni, che hanno in sè una valenza straordinariamente positiva, cerchiamo sempre di trovare la nostra sicurezza o il nostro rifugio, legandoli a noi e non a Dio. Egli, invece, vuole vivere in loro, come in noi ed ha bisogno di cuori liberi per albergarvi. Essere eccessivamente legati a cose o persone danneggia anche queste ultime, perché le imprigiona in vincoli che incatenano e nel tempo intristiscono, mentre il cuore di ogni uomo ha sete d’amore, che solo Dio è in grado di appagare in pienezza: “Ci hai fatti per te ed il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te” (S. Agostino). Commentando questa celebre espressione, Papa Francesco ha evidenziato che, questa inquietudine è, innanzitutto, propria di chi, come Agostino, “non si chiude in se stesso, non si adagia, continua a cercare la verità… E in questo modo scopre che Dio lo aspettava, anzi, che non aveva mai smesso di cercarlo per primo”; la sua, continua il Papa, è l’inquietudine dell’amore: “E Agostino si lascia inquietare da Dio, non si stanca di annunciarlo, di evangelizzare con coraggio, senza timore.. Ecco, allora, l’inquietudine dell’amore: cercare sempre, senza sosta, il bene dell’altro, della persona amata, con quella intensità che porta anche alle lacrime” (Papa Francesco, 28 agosto 2013).
Sia questa inquietudine ad animare la nostra relazione con Dio ed i nostri rapporti interpersonali.
Buona domenica!
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