13 Aprile 2017
Racconti di un pellegrino polacco
Negli ultimi 8 anni ha percorso più di 40mila chilometri a piedi. La sua casa è uno zaino. Dorme dove capita: monasteri, santuari, parrocchie. Ma anche in edifici abbandonati o all’aperto. È polacco, ha 35 anni, si chiama Jarosuaf (Girolamo) e nella vita fa il pellegrino. Il Piemonte lo conosce bene e nelle settimane scorse lo ha attraversato facendo tappa anche a Roletto dove lo abbiamo incontrato al termine della messa. Sguardo orientale e sorriso disarmante, felpa, pantaloncini e scarponi da montagna. «Ho percorso tutta l’Europa a piedi: Spagna, Italia, Francia, Germania, Polonia, Cecoslovacchia, Austria, Svizzera. Ho visitato tanti luoghi dove è apparsa la vergine Maria. E tante Abbazie. Adesso sto andando a Pra ‘d Mill. Questa è la quarta volta che ci vado e per me i monaci sono ormai degli amici». Jarosuaf parla un buon italiano e si confida con semplicità disarmante: «Io vivo così, sulla strada e sotto le stelle». La sua storia inizia nel 2004. Interrompe gli studi universitari e va a lavorare in Inghilterra come muratore. «Ad un certo punto ho capito che qualcosa attorno a me non andava, che tutto era illusione. Allora ho lasciato la mia casa a Katowice, mio padre, mia madre, mio fratello. Da subito vivevo come un vagabondo. Poi ho cominciato a leggere la Bibbia. Una sorta di conversione anche se sono cresciuto come un cristiano. Sono stato battezzato, ho fatto comunione e cresima ma sono nato in un periodo difficile per la Polonia, prima della caduta del comunismo. Molta gente se n’è andata dalla chiesa perché stava dentro solo come opposizione al regime».
Fin da bambino ha avuto una sensibilità fuori dal comune. «Già quando avevo cinque anni vedevo cose che gli altri non vedevano e sentivo cose che gli altri non sentivano. Mia madre pensava che fossi matto e voleva farmi ricoverare in un ospedale psichiatrico ma i dottori hanno detto che ero normale. E anche adesso vedo e sento cose che gli altri non sentono. Anche qualche monaco che ho incontrato mi ha detto che sono una persona “bizarre”. Io percepisco ogni cosa come un miracolo: svegliarmi al mattino è un miracolo, incontrare sulla strada qualcuno col cuore aperto è un miracolo». Il suo è un cammino spirituale ma anche fisico, fatto di chilometri e fatica, una vocazione cui si sente chiamato: «non faccio questo per una mia decisione. È una mano divina che mi spinge a farlo. Un tempo ero contrario a queste cose e ho provato diverse volte a ritornare nella società: Londra, Parigi e Barcellona. Lì avevo un appartamento, un buon lavoro. Poi ad un certo punto non ce l’ho più fatta e sono tornato sulla strada. Per potermi alzare la mattina, mettermi davanti allo specchio e dire: sì, posso guardarmi in faccia. Questo sono io. Certo non sono perfetto, ho tante cose da cambiare. Per questo sono sulla strada, per andare in Paradiso. Questa è la meta ultima del pellegrino: la Gerusalemme celeste». Impossibile non vedere in questo giovane un redivivo “pellegrino russo”. «Ho letto quel libro e ho praticato la preghiera del cuore», conferma Jarosuaf.
Unico punto fisso nella sua vita nomade è la comunità di Emmaus(quella fondata da l’abbé Pierre) a Sion in Svizzera dove lavora per qualche mese all’anno riparando e rivendendo oggetti usati. «Lì c’è un capo che però è soprattutto un amico e non ti mette pressione. Non ci sono obblighi. Entri quando vuoi, riparti quando vuoi».
Il futuro per lui non è un problema, ciò che conta è il momento presente: «le persone che incontri sono qui, Gesù Cristo è qui, la fede è qui, la spiritualità è qui, la bontà della vita è qui. Quando arrivo in un’abbazia chiedo: ce l’hai un po’ di lavoro? In cambio chiedo solo di mangiare e dormire».
Alla domanda secca: «sei felice?», Jarosuaf risponde: «certo! Questo non è in discussione. Vivo sapendo che tutto quello che succede dipende da Dio. Vivo di provvidenza. E sono felice».
Patrizio Righero
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