23 Maggio 2015
Pentecoste: la festa della Chiesa in uscita

È sempre un momento di grande fraternità e condivisione l’annuale Assemblea della Conferenza Episcopale Italiana, che si tiene nella settimana precedente alla Pentecoste. Quest’anno il tema principale era la verifica della ricezione nelle diocesi dell’Evangelii gaudium.
L’incipit è stato dato da papa Francesco, il quale – com’è nel suo stile – non si limita a fare un discorso di cortesia, ma offre indicazioni precise perché la Chiesa sia continuamente in uscita. È l’atteggiamento tipico della Pentecoste. Infatti con il dono dallo Spirito le porte del Cenacolo si aprono e la comunità cristiana trova il coraggio di proclamare il cuore del messaggio cristiano: Gesù Cristo risorto e solo in Lui c’è salvezza.
Il Papa ha poi subito manifestato una sua preoccupazione: l’indebolimento della “sensibilità ecclesiale”, cioè il non possedere in pienezza gli stessi sentimenti di Cristo, di umiltà, di compassione, di misericordia, di concretezza e di saggezza. Ha fatto anche alcuni esempi di questo indebolimento, tutti molto concreti e di grande attualità.
Questo deficit si manifesta quando si è timidi o irrilevanti nello sconfiggere «una diffusa mentalità di corruzione pubblica e privata che è riuscita a impoverire senza alcuna vergogna, famiglia, pensionati, onesti lavoratori, scartando i giovani, sistematicamente privati di ogni speranza sul loro futuro, e soprattutto emarginando i deboli e i bisognosi ».
L’elenco, poi, prosegue sollecitando i vescovi ad essere pastori vigili nel cercare di arginare il tentativo di pericolose colonizzazioni ideologiche (vedi ad esempio la teoria del gender e la distruzione della famiglia). Il punto dolente è l’elaborazione di documenti che non rimangano nell’astratto o addirittura incomprensibili per il linguaggio usato. Il magistero della Chiesa è per tutto il popolo e deve tradursi in proposte concrete e comprensibili. Il pensiero dei vescovi e andato subito all’Evangelii gaudium, come modello di comunicazione e di aderenza ai problemi della vita.
Una parola forte l’ha rivolta anche ai laici, sollecitandoli ad assumersi le responsabilità che a loro competono a tutti i livelli, «da quello politico a quello sociale, da quello economico a quello legislativo», senza aver bisogno di input clericali da parte di vescovi “piloti”.
Ha poi indicato nella comunione all’interno della diocesi un test inequivocabile circa la maturità della sensibilità ecclesiale. Infatti se c’è comunione, una comunità non è narcotizzata, anzi tutte le voci sono armonizzate e tendono, pur con le loro differenze, verso l’unità.
È seguito, poi, tra il Papa e i vescovi un dialogo molto schietto e fraterno durato più di due ore. È stato Egli stesso a volerlo.
Personalmente gli ho sottoposto queste mie riflessioni, dopo averlo ringraziato per la visita che compirà al tempio valdese il 22 giugno prossimo. Mi è parso importante sottolineare che non c’è sensibilità ecclesiale senza quella ecumenica. Il Giubileo della Misericordia dovrebbe intrecciarsi con il cammino ecumenico manifestando gesti di reciproco perdono. Chiedendogli di ricordare i cinquecento anni dell’inizio della Riforma protestante in forma ecumenica – in atteggiamento di conversione e cercando di comprendere che cosa il Signore domanda alle nostre Chiese oggi divise – ho sollecitato che nel prossimo Sinodo venga preso nella dovuta considerazione il cammino di fede delle famiglie interconfessionali con particolare attenzione all’educazione dei figli. Tra l’altro ho anche fatto notare com’è doloroso, alla domenica, andare all’Eucaristia o alla Santa Cena e restare divisi al momento della comunione. Forse anche su questo punto ci vorrebbe un supplemento di riflessione teologica.
Meraviglia sempre di più il modo di parlare di Papa Francesco. Egli si esprime in modo accessibile a tutti – questo è tipico della Pentecoste -, dove la comprensione è immediata perché le parole si intrecciano con i gesti, così il discorso diventa credibile e offre incoraggiamento e speranza.
+ Pier Giorgio Debernardi

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